Al Pd non è chiaro nemmeno il numero dei delegati

Al Pd non è chiaro nemmeno il numero dei delegati

La campagna elettorale è iniziata. Il camper di Matteo Renzi gira l’Italia ormai da qualche settimana. Ufficialmente, però, il sindaco di Firenze non può neppure candidarsi alle primarie. Lo prevede lo statuto del Partito democratico: il candidato premier è il segretario. Per cambiare le norme e permettere ad altri esponenti democrat di sfidare Bersani – insieme a Renzi ci sono Sandro Gozi, Laura Puppato e forse Pippo Civati – servirà un voto dell’assemblea nazionale. Convocata sabato prossimo all’Hotel Ergife di Roma.

Una riunione che si preannuncia tutt’altro che serena. I circa mille delegati avranno il difficile compito di chiarire regole e confini di un confronto che diventa giorno dopo giorno più complicato. Anche per questo l’incontro di sabato rischia di risvegliare polemiche e rivalità tra le diverse componenti del partito. E non solo in tema di primarie.

Anzitutto la modifica dello statuto. Il segretario Pier Luigi Bersani lo ha chiarito mesi fa: la primarie del centrosinistra dovranno essere aperte ad altri esponenti di partito. Una scelta coraggiosa, che ora dovrà essere ratificata dall’assemblea. Quali sono le regole? Come stabilisce l’articolo 42 dello statuto (Revisioni dello Statuto e dei Regolamenti), le modifiche «sono approvate dall’assemblea nazionale con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei componenti».

Sul numero dei membri del parlamentino democrat c’è un piccolo mistero. Lo statuto del Pd ne prevede oltre 1.400. Secondo l’articolo 4, infatti, i mille eletti vengono integrati da venti segretari regionali, cento componenti eletti da parlamentari nazionali ed europei e altri trecento scelti «dagli elettori contestualmente all’elezione delle assemblee regionali». Eppure gli ultimi quattrocento componenti, di fatto, non sono mai stati nominati. Non esistono. I membri dell’assemblea sono 950 – i nomi sono pubblicati dal sito del Partito democratico – più i venti segretari regionali. Per permettere a Renzi di partecipare alle primarie dovranno esprimersi a favore in 486. 

Secondo alcuni dirigenti non troppo entusiasti delle primarie, basterebbe convincere qualche delegato a non raggiungere la Capitale per far saltare la modifica dello statuto e obbligare Renzi e gli altri sfidanti al passo indietro. Anzi, secondo alcune indiscrezioni, nei giorni scorsi i delegati vicini a Fioroni e Veltroni avevano già pianificato di disertare l’appuntamento. «Peccato che così ad essere danneggiato più di tutti sarà il segretario Bersani – raccontano dallo staff del sindaco di Firenze – È lui che ha messo la faccia su questa modifica. Che figura ci fa se il partito non lo segue?». L’obiezione non è priva di significato. Ecco perché alla fine quasi tutti sono certi che il numero legale sarà raggiunto senza troppi problemi. Resta un dubbio. E se sabato qualcuno chiede una verifica? A quel punto si dovrà procedere a un – non agevolissimo – conteggio dei votanti.

Tra gli assenti ci sarà sicuramente Matteo Renzi. Il sindaco – non è un componente dell’assemblea – ha fatto sapere che non verrà a Roma. Suscitando qualche polemica all’interno del partito. «A questo punto – ha spiegato poco fa l’ex popolare Beppe Fioroni – l’assemblea va rinviata fino a quando Matteo Renzi, che si è candidato alle primarie, possa partecipare alla riunione che approva le regole».

Una volta approvata la modifica dello statuto, l’assemblea dovrà fissare le regole per le candidature. Per evitare decine di concorrenti, saranno stabiliti dei paletti. Per sfidare Bersani si dovrà raccogliere un numero di firme rilevante. Potrebbe essere il 3 per cento degli iscritti al partito (20 mila sottoscrizioni). Oppure il sostegno di un centinaio di delegati. La scelta non è semplice. E rischia di creare altri problemi. Fissare un numero di firme troppo alto potrebbe eliminare dalla corsa alcuni tra i candidati minori. Permettendo a qualcuno di lamentarsi della poca democrazia del confronto.

Ma l’assemblea di sabato rischia di diventare terreno di scontro tra le diverse anime del partito. A prescindere dalla primarie. Basterà la presentazione di un ordine del giorno particolarmente scomodo per far scoppiare un putiferio (il partito avrebbe già autorizzato la presentazione di alcuni odg, contrariamente a quanto ipotizzato in un primo momento). Ne sanno qualcosa i delegati che lo scorso luglio hanno partecipato all’ultima assemblea Pd. Quando alcuni documenti sui matrimoni gay hanno scatenato un imbarazzante scambio di accuse tra alcuni deputati e la presidente Rosy Bindi. Più probabile, questa vota, che lo scontro avvenga su un altro tema. Magari sul rapporto tra il Partito democratico e il governo tecnico. E chissà che i veltroniani più vicini all’agenda Monti non chiedano un impegno formale per vincolare il partito al programma del Professore.

E poi restano da fissare le regole delle primarie. Sembra ormai chiaro che si andrà verso un’elezione a doppio turno (le date sarebbero il 25 novembre e il 2 dicembre). Probabilmente il secondo voto sarà chiuso (potrà recarsi ai seggi solo chi ha votato al primo turno). E poi c’è la questione dell’albo degli elettori. Come evitare che il voto venga inquinato da simpatizzanti di altri partiti? Nascerà un elenco ufficiale dei sostenitori del centrosinistra, e solo chi sarà iscritto potrà votare alle primarie. Ma quanto tempo prima si chiuderanno le liste? E chi potrà materialmente farne parte? Anche gli stranieri e i sedicenni? Sembra confermato, invece, che ci si potrà segnare anche il giorno delle primarie. Di tutto questo Bersani – a cui l’assemblea conferirà un’apposita delega – dovrà discutere con i propri alleati.  

Intanto Matteo Renzi si chiede polemico: «Non capisco perché non vadano bene le regole del passato, quelle che andavano bene quando hanno vinto Prodi, Veltroni, Bersani. Sono le stesse identiche regole che hanno visto la vittoria di Pisapia e di Vendola a livello locale, per dire. Mi pare un errore – così il sindaco di Firenze nel pomeriggio – inserire il ballottaggio (alle primarie chi arriva primo vince. Non è che dopo aver vinto, poi, c’è la gara di ritorno). Mi pare un errore grave immaginare un ballottaggio in cui possa votare solo chi ha votato al primo turno (e se la prima domenica ti ammali?). Mi pare un errore cercare di restringere la partecipazione».

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