Aveva imposto i tempi, gli argomenti e le regole della gara. Aveva preparato una partita da giocare tutta all’attacco. E invece Matteo Renzi è costretto a difendersi. Per la prima volta dall’inizio della campagna elettorale per le primarie, il sindaco rottamatore è con le spalle al muro.
Uno scivolone improvviso, quello della cena per la raccolta fondi organizzata a Milano dalla Fondazione Metropolitan di Davide Serra (la cui società, scrivono i giornali, sarebbe controllata da una holding con sede nelle isole Cayman). Una battuta d’arresto che rischia di caratterizzare la corsa alla premiership. Al Nazareno probabilmente non aspettavano altro. Non si spiega altrimenti la decisa presa di posizione dell’Unità di oggi: il quotidiano di Claudio Sardo titola “Le primarie in paradiso (fiscale)”. Ma soprattutto la reazione del segretario Bersani. «Credo che qualcuno che ha base alle Cayman non dovrebbe permettersi di dare consigli», ha detto il leader democrat poche ore fa.
Contropiede. Ora Renzi deve parare i colpi. Una posizione scomoda e inattesa per chi aveva pianificato una campagna elettorale all’arrembaggio. Per chi, dopo tutto, è costretto a inseguire l’avversario. Finora la strategia del sindaco era stata perfetta. Renzi ha iniziato a girare il Paese con il suo camper quando non era neppure certo che potesse partecipare alla sfida (fino a tre settimane fa lo Statuto Pd autorizzava la candidatura alle primarie di coalizione del solo segretario). Ha dato i tempi al confronto. Ma anche gli argomenti. Per settimane i giornali hanno parlato dei suoi comizi in stile Usa. Le pagine dei quotidiani si sono riempite di reportage dal camper del sindaco. Tutti entusiasti a raccontare le piazze gremite, il format moderno degli incontri, la novità della proposta politica.
E poi quel tema ossessivo della rottamazione. Lanciato con successo da tempo, Renzi non ha dovuto neppure calcare troppo la mano. Ha lasciato che fossero i dirigenti Pd – loro sì costretti alla difesa – ad attualizzare lo slogan. Il rinnovamento generazionale del partito: un tema così travolgente da costringere due leader alle dimissioni. Perché Walter Veltroni e Massimo D’Alema assicurano che il loro passo indietro con Renzi non c’entra nulla. Ma è molto probabile che senza la campagna elettorale del sindaco oggi i due sarebbero ancora al loro posto.
Un mese da protagonista per Renzi. Non a caso in continua ascesa nei sondaggi. Una sovraesposizione mediatica che ha avuto come prima vittima l’altro grande avversario, Nichi Vendola. Sulla carta il vero antagonista di Bersani sarebbe dovuto essere il leader di Sel. Oscurato dal sindaco fiorentino, fino ad oggi se ne sono quasi perse la tracce.
Ora Bersani si riprende la scena. La buccia di banana su cui è scivolato Renzi probabilmente la aspettava da tempo. La vicenda delle isole Cayman? È facile che il segretario Pd cavalcherà a lungo questo tema. La palla passa a lui. Il vantaggio è evidente. Anzitutto Bersani può mettere in dubbio la figura dell’avversario proprio su uno dei temi più vicini al sindaco di Firenze. La trasparenza. Ma come? Il sindaco mette in rete tutte le donazioni ricevute. Si fa pagare la benzina del camper dai suoi sostenitori. Chiede di istituire un tetto ai costi della campagna elettorale. Si permette persino di fare le pulci al partito (pochi giorni fa ha sfidato il Pd a mettere online tutte le spese dei dirigenti). E poi si fa finanziare la corsa alle primarie da un imprenditore – questa almeno è l’immagine che i bersaniani cercheranno di far emergere – in odore di paradisi fiscali?
Ma soprattutto si tornerà a sottolineare la sua lontananza da una sinistra classica. I suoi detrattori lo fanno da tempo, da quando il sindaco incontrò il Cavaliere in un discusso pranzo nella Villa di Arcore. Anni fa. Non a caso quando a settembre lo sfidante di Bersani chiese il voto dei delusi di centrodestra, nel partito si scatenò il finimondo. Ecco, da adesso per i suoi avversari sarà più facile ironizzare sui legami tra Renzi e un certo mondo imprenditoriale. Al giornalista dell’Unità che stamattina ha intervistato Giorgio Gori quasi non sembrava vero. «Non è contraddittorio proporre una dura lotta all’evasione come fa Serra e avere società nei paradisi fiscali?».
Renzi intanto sembra aver subito il colpo. Da Ginevra Bersani attacca. «Credo che qualcuno che ha base alle Cayman non dovrebbe permettersi di dare consigli. Non lo dico per Renzi ma in generale: l’Italia non si compra a pezzi». Il segretario se la prende con «certa finanza, che non è trasparente». L’obiettivo è chiaramente il suo avversario alle primarie. La risposta? Per ora il sindaco si è limitato a twittare: «Caro Bersani, su banche finanza e trasparenza accetti un confronto pubblico? Non importa andare alle Cayman: ok una casa del popolo. Ti va?». E più tardi su Facebook rincara: «La finanza non è buona o cattiva. La finanza esiste ed è centrale per chi vuole governare un Paese in queste condizioni. La politica autorevole parla con la finanza, la politica meschina si fa dettare la linea dalla finanza. Semplice no?». Sfrontato, diretto. Ma alle corde. Specie per chi si aspettava una spiegazione un po’ più articolata.
Al primo turno delle primarie manca ancora un mese. Difficile dire se da qui al voto terrà ancora banco la questione delle isole Cayman (di certo i sostenitori di Bersani non abbandoneranno il tema tanto facilmente). L’unica certezza è legata al livello dello scontro. Il confronto tra Renzi e il segretario è destinato ad aumentare di intensità. Il sindaco aveva iniziato la campagna elettorale con estrema educazione. «Sosterrò chiunque vinca», «Il Pd resta la mia casa». Alla notizia delle dimissioni di Veltroni si era persino lasciato sfuggire un complimento: «È un nobile atto che gli fa onore». Per carità, le polemiche sul regolamento delle primarie avevano già fatto saltare gli schemi. Ma tutto fa pensare che da adesso, per entrambi, sia davvero arrivato il momento dei colpi bassi.