Fassina: «La rottamazione è populismo. Il Pd è già rinnovato»

Fassina: «La rottamazione è populismo. Il Pd è già rinnovato»

«La rottamazione? Una categoria populista. Il rinnovamento all’interno del Partito democratico è già in corso. E L’offensiva demagogica di Renzi rischia solo di rendere il processo più complicato». Il responsabile economico del Pd Stefano Fassina difende Bersani dalle accuse del sindaco di Firenze. «Nel partito si è aperta una nuova fase, anche D’Alema ne è consapevole». E se qualche dirigente si farà da parte, nessun dramma. Si può servire il Paese anche fuori dal Parlamento. «Ero in lista dopo Luigi Lusi – ricorda Fassina, primo dei non eletti in Liguria – Se l’ex tesoriere della Margherita si fosse dimesso sarei entrato al Senato. Ma quel seggio non lo voglio». Gli scontri sulle primarie? «Il regolamento è semplice. Le norme al centro delle polemiche sono davvero poco rilevanti». Fassina immagina la coalizione di centrosinistra pronta a guidare il Paese. Per Antonio Di Pietro ormai è tardi, «si è chiuso le porte da solo». Ma un’intesa con Vendola e Casini non è impossibile. «Più andiamo avanti, più si avvicinano posizioni apparentemente inconciliabili».

Prima l’addio di Veltroni, oggi il botta e risposta Bersani-D’Alema. Nel Partito democratico è l’ora del rinnovamento della classe dirigente.
Credo che tutta questa discussione sia partita male. All’insegna della categoria populista della rottamazione.

Secondo lei nel Pd non c’è bisogno di un ricambio generazionale?
Un rinnovamento fisiologico all’interno del partito è già in corso, senza bisogno di sollecitazioni. Bersani ha una segreteria di quarantenni, i segretari regionali del partito sono in larga parte volti nuovi. Peccato che adesso quest’offensiva demagogica sotto il segno della rottamazione abbia reso il processo più complicato.

Paradossalmente Renzi ostacola il ricambio?
Nel Partito democratico si è chiusa una fase. E se ne sta aprendo un’altra. Il nostro obiettivo è rendere protagonista di questa nuova fase un gruppo dirigente capace, che non abbia solo i requisiti anagrafici.

Secondo lei Massimo D’Alema ha fatto il suo tempo?
D’Alema è stato e rimane un leader dei progressisti italiani ed europei. Valuterà lui la posizione più efficace per proseguire il suo lavoro.

Quindi se l’ex premier decide di rimanere alla Camera lei è d’accordo?
Ripeto, questa discussione deve rimanere su un terreno politico. Non su quello della rottamazione, una categoria negativa e senza alcun rispetto per le persone. Io credo che D’Alema sia consapevole della nuova fase in cui sta entrando il partito.

Intanto Renzi festeggia. I suoi considerano il passo indietro di tanti dirigenti come una vittoria del sindaco.
Non penso proprio che sia un suo merito. Quando ha annunciato di non volersi più ricandidare, Veltroni è stato molto chiaro. Ripeto: la rottamazione è una categoria populistica. E cavalcare il populismo non permette di costruire alcun progetto politico.

Però fa guadagnare voti.
Che vuol dire? Anche Grillo prende tanti voti.

Oggi Bersani ha spiegato che si può servire il Paese anche fuori dal Parlamento. Lei, ad esempio, è il responsabile economico del partito ma non è deputato. Il prossimo anno entra a Montecitorio?
Questo non lo so. Le candidature le decide il partito.

Nel 2008 non è entrato in Parlamento per scelta sua o perché quando sono state fatte le liste il segretario era Veltroni?
Io ero candidato in Liguria. Ma abbiamo perso e non sono entrato. Ero in lista al Senato, dopo Luigi Lusi. Sono stato il primo dei non eletti. Quando è emerso lo scandalo dell’ex tesoriere della Margherita ho chiesto le sue dimissioni. Ma non sarei comunque diventato parlamentare. Avevo deciso di rinunciare per fare entrare a Palazzo Madama una professoressa, in lista dopo di me (Brunella Ricci, ndr). Lei sì, ligure. Al contrario di me e Lusi. Degna rappresentante di quella terra.

Intanto il tema della rottamazione rischia di monopolizzare il dibattito sulle primarie. Assieme alle polemiche sul regolamento.
Il regolamento è più semplice rispetto alle altre volte. Anzi, grazie al fatto che ci si potrà iscrivere all’Albo degli elettori fino a 21 giorni prima del voto, ci saranno meno code ai seggi. Un accorgimento che permetterà di votare con celerità. Nessun cambio in corsa. Abbiamo semplicemente reso più efficaci le norme che già esistevano. Il partito ha dimostrato la massima apertura possibile. E sono state assicurate le maggiori garanzie per tutti i candidati.

I renziani si lamentano per la decisione di chiudere il secondo turno.
La commissione di garanzia individuerà i casi in cui sarà possibile votare al ballottaggio per chi non si è recato al seggio al primo turno. Francamente questo mi sembra un problema davvero poco rilevante.

Ieri Antonio Di Pietro ha chiesto a Bersani e Vendola di poter partecipare alle primarie. Secondo lei è una strada percorribile?
Per i comportamenti che ha avuto in questi mesi, Di Pietro mi sembra poco coerente con la carta d’intenti e con l’alleanza dei progressisti che abbiamo in mente. Penso ai suoi insulti al Partito democratico e al Quirinale. Ecco perché immaginarlo nostro alleato oggi è complicato.

Chiude le porte al leader Idv?
No, le porte le ha chiuse lui.

E l’intesa con l’Udc rimane un’ipotesi concreta? Nonostante Vendola?
Noi auspichiamo che ci sia un dialogo. Stiamo lavorando per un’alleanza dei progressisti e dei democratici. Ma speriamo in un confronto con i moderati. Davanti a noi abbiamo la necessità di attuare riforme profonde. Dovremo fronteggiare sfide molto complicate.

Difficile affrontarle in una coalizione con Vendola e Casini.
Più andiamo avanti e più si avvicinano posizioni apparentemente inconciliabili. Le faccio un esempio. La scorsa settimana il fondo monetario ha espresso alcune posizioni fortemente critiche sulle politiche di austerità in Europa. Dichiarazioni che anche Vendola potrebbe condividere.

Sembra ottimista per un’intesa di governo Sel-Pd-Udc.
Entrare nel merito della discussione ci consentirà di trovare soluzioni largamente condivise. Nella carta di intenti è già previsto che l’alleanza riconosce tutti gli impegni sottoscritti dal governo e punta sullo sviluppo come l’unica condizione per ridurre il debito pubblico.  

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