Il progetto per memoriale di Enrico Mattei – il “campo di Bascapè”, così chiamato da Porcinai in una lettera a Bruno Zevi del 1963, si colloca a metà strada tra due lavori che appartengono a questo lato meno noto della vita professionale del paesaggista toscano: prima la collaborazione con Luigi Cosenza alla realizzazione del piccolo memoriale Olivetti, nel cuore della fabbrica di Pozzuoli, poi il passaggio da San Vito di Altivole, dove Carlo Scarpa progetta il celebre recinto funebre per i coniugi Brion. Sono incursioni che s’intersecano con figure di spicco dell’architettura italiana e che, nelle mani di Porcinai, diventano riflessioni acute sui paesaggi italiani, dal “dolce piano” lombardo a un campo ai piedi delle colline asolane, fino allo stordimento di luce sotto il cielo della costa flegrea. Porcinai attraversa questi mondi con lo spessore e la maturità delle molte conoscenze tecniche e con la misura culturale di uno sguardo pietoso che cerca di dar volto a paesaggi che esprimono il ricordo di figure che, come lui, ne hanno immaginato con fiducia il cambiamento.
Il 27 ottobre 1962 il bireattore che dalla Sicilia porta Mattei a Milano esplode in volo e precipita a duecento metri dalla cascina Albaredo, nella campagna di Bascapé, piccolo centro a sud Milano. Muoiono insieme a Mattei le altre due persone a bordo, il comandante Bertuzzi e William F.McHane, giornalista intento in quel periodo a scrivere una biografia sull’industriale italiano.
Nelle pagine dei quotidiani la testimonianza dei primi soccorritori registra una scena che vede la coda del velivolo conficcata nel terreno e, intorno, i resti del bireattore e dei suoi occupanti, dispersi “a duecento metri circa dalla cascina Albaredo, sul limite di un filare di giovani pioppi, a pochi metri da una roggia gonfia d’acqua”. Questa telegrafica notazione sulla scena dell’accaduto – un filare, una roggia e il disegno delle strade vicinali -, anticipa il tema dal quale lo sguardo progettuale di Porcinai prenderà le mosse. Nella primavera del 1963, a pochi mesi dalla scomparsa di Mattei, Porcinai riceve dalla Snam l’incarico “di sistemare, con pochi mezzi, il terreno che raccoglie i resti” del tragico evento. Il lavoro procede con grande rapidità e sarà inaugurato in occasione del primo anniversario della morte, la domenica del 27 ottobre 1963.
Quello che da una prima lettura parrebbe un’esercitazione tutta giocata sul piano della figura bidimensionale – un campo rettangolare con le sue variazioni geometriche, tracciate in sintonia con il disegno del paesaggio esterno -, si rivela invece nell’evoluzione temporale del progetto un luogo d’intensa qualità nella sua dimensione volumetrica. Gli scarti di quota interpretano magistralmente i caratteri del paesaggio padano, la solenne architettura delle masse vegetali esprime, più di ogni altro elemento, il valore “memoriale” di questo giardino del ricordo, incessantemente mutevole e parlante nell’arco delle stagioni (non solo nella spettacolare vestitura autunnale dei Taxodium), degli anni e delle ore del giorno, negli oltre cinquant’anni di vita vissuta. La mappa catastale e poi il rilievo eseguito per il progetto commissionato al paesaggista registrano i pochi dati che saranno il cuore del progetto: i campi, l’intersezione di due strade bianche e una roggia che descrive un gomito in corrispondenza di questo incrocio, uno sparuto filare di pioppi. L’idea di Porcinai consiste nel tracciare il perimetro di una figura semplice, rettangolare, che “accoglie” questo piccolo nodo, lo contiene con un “recinto” percorribile, un argine associato a un filare di alberi monumentali, a cavallo tra il tempo della memoria e quello del lavoro quotidiano.
A cinquant’anni dalla sua inaugurazione, il campo appare oggi nel pieno di quel processo in divenire che è la vita di un giardino. Il motivo asciutto e la trama geometrica degli acciottolati sul piano erboso, la massa placida dell’argine perimetrale e degli arbusti che ne accompagnano il disegno, risultano ora contrapposti allo slancio verticale dei grandi Taxodium distichum che Porcinai scelse per formare la solenne cortina perimetrale che emerge dal piano inclinato delle scarpate. Appare ora perfetta, in ogni momento dell’anno, anche quando il rosso manto autunnale si dissolve, la configurazione di spazi e di figure vegetali che si stringono intorno a questo laico “camposanto” immaginato nella pianura lombarda. Perduto il segno della roggia che scorre all’interno del recinto, ora l’acqua ne descrive l’intero perimetro. Il ponte che l’attraversa ci introduce e un recinto fatto di elementi chiusi – la siepe esterna, il grande rettangolo di alberi, l’argine e, infine, il perimetro dei massi che si stringe intorno a tre querce: è qui che, nei giorni della commemorazione, si depongono i fiori.