Se entrerà in Parlamento, lo farà da presidente del Consiglio. Altrimenti niente. Quello di Matteo Renzi sembrava uno slogan di successo – «Se perdo le primarie non voglio alcun premio di consolazione. Non farò il ministro, il sottosegretario, il parlamentare» – Rischia di essere una maledizione. Ormai è quasi certo che il sindaco fiorentino non avrà alcuno scranno da deputato. Almeno per i prossimi cinque anni. Una rinuncia frutto di una sua libera scelta. Ma anche un obbligo, visto che presto la legge non gli consentirà più di essere eletto parlamentare.
Alcuni colleghi più avveduti hanno già aggirato le norme. Più o meno consapevolmente. Si spiega così la lunga lista di deputati-presidenti di provincia che negli ultimi due giorni si sono improvvisamente dimessi. Hanno abbandonato la poltrona sul territorio Fabio Melilli di Rieti, Roberto Simonetti di Biella, Maria Teresa Armosino di Asti, Luigi Cesaro di Napoli, Edmondo Cirielli di Salerno. Mancava poco e si faceva da parte anche il responsabile della provincia di Milano Guido Podestà (le sue dimissioni sono rientrate all’ultimo, sembra grazie al pressing del partito). Tutti pronti al passo indietro. Proprio nei giorni in cui si chiude l’ultima finestra per potersi candidare al prossimo Parlamento. La legge in proposito è evidente. Il Decreto del Presidente della Repubblica 361 del 1957 «Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione della Camera dei deputati» parla chiaro. Tutti i presidenti delle giunte provinciali sono ineleggibili alla carica di deputato e senatore. «Queste cause di ineleggibilità – si legge subito dopo – non hanno effetto qualora l’esercizio delle relative funzioni sia cessato almeno 180 giorni prima della data di scadenza della legislatura».
Assodato che la XVI legislatura della Repubblica ha preso il via nell’aprile 2008, si scopre così che potranno ricandidarsi a Montecitorio solo quei presidenti provinciali che hanno rinunciato alla carica entro questo mese. Matteo Renzi se ne sarà accorto? Già, perché la legge in questione equipara ai presidenti di provincia anche i sindaci dei comuni sopra i 20mila abitanti. E Firenze, di abitanti, ne ha quasi 400mila. Impegnato in giro per l’Italia con il suo camper, il rottamatore Pd non ha ancora rassegnato le proprie dimissioni da primo cittadino. Rinunciando a entrare in Parlamento per i prossimi cinque anni e mezzo. «Nessuna dimenticanza – giurano i suoi – Matteo è stato semplicemente di parola». Se perderà le primarie, tornerà a fare il sindaco (il suo mandato scade nel 2014). Se le vincerà e sarà eletto presidente del Consiglio, entrerà lo stesso in Parlamento. Ma dalla porta principale. «E poi qual è il senso di candidarsi a deputato se si corre per Palazzo Chigi?» domandano dal suo staff.
In realtà Renzi può ancora ripensarci. La prima seduta di questa legislatura alla Camera dei deputati risale al 29 aprile di quattro anni fa. Calendario alla mano, per dimettersi da sindaco ha ancora un paio di settimane di tempo. Se proprio volesse insistere, può sperare in una mano del governo. L’esecutivo di Mario Monti potrebbe adottare un decreto nei prossimi mesi per permettere la candidatura di presidenti di provincia e sindaci, magari permettendogli di dimettersi entro marzo. E se non arrivasse nessun aiuto da Palazzo Chigi, si può sempre sperare nel Quirinale. Il Dpr 361/1957, all’articolo 7, prevede che in caso di scioglimento anticipato della Camera, le cause di ineleggibilità ricordate prima perdono di efficacia. Occorre però che Giorgio Napolitano sciolga il Parlamento «oltre 120 giorni» prima della sua naturale scadenza. A fine gennaio.