Robert F. Christy
(14 maggio 1916 – 26 settembre 2012)
Robert Frederick Christy, di Vancouver, fisico atomico, canadese di nascita e famiglia, diventato cittadino degli Stati Uniti per aver sempre lì lavorato. Morto a 96 anni. Questa le nozioni base della scheda. Un’aggiunta, la più importante: era l’ultimo scienziato ad aver partecipato al Progetto Manhattan, nel deserto di Los Alamos, nei primi anni Quaranta: ne sarebbe derivata la prima atomica, sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki.
Se non fosse inesatto, o non suonasse offensivo verso tutte le vittime di quelle due esplosioni, si potrebbe dire che Christy era l’ultimo sopravvissuto dell’era atomica. Dalla parte dei demiurghi della bomba. Che, si sa, avevano avuto interrogativi (oltre che mansioni) diversi nell’elaborazione del progetto: Fermi, Teller, Szilard, Oppenheimer, e gli altri.
Christy aveva una particolarità biografica rispetto al nucleo europeo di quel gruppo: era un immigrato interno alle Americhe (dal Canada agli Usa), e non un “cervello” fuggito all’Europa razzista e nazificata. In più aveva perfezionato, come “post-graduate”, i suoi studi di fisica all’Università di Berkeley, California: sotto la guida proprio di Robert Oppenheimer. Dopo di allora – anni Trenta – pochi e decisivi sono stati i passaggi che hanno firmato la sua vita quasi centenaria.
Il primo: il coinvolgimento nel progetto era dovuto agli studi specifici di Christy del “nucleo” della bomba: il suo livello di compressione, la sua uniformità, la sua solidità. E la sua materia: metallo solido di plutonio. Il “design” che Christy aveva fatto di quel nucleo era stato considerato “most notable”. Il pericolo era l’implosione di quel nucleo, se non fosse stato messo a punto con relativa cognizione di causa (ripassando questi pochi dati storici, e considerando come quel nucleo abbia agito, quasi ci si vergogna a immaginare i dettagli di quei preparativi sull’ “ignoto”).
Il secondo passaggio riguarda una convinzione e una ricerca precisa di Christy nel primo ventennio post-bomba. La sua passione per la fisica nucleare e per lo studio dei raggi cosmici, lo portavano molto in alto, molto al di sopra delle contingenze della Guerra Fredda: in breve, non era minimamente interessato al perfezionamento nucleare delle armi, e quindi indifferente alla gara, sul tema, con i sovietici. La ricerca precisa lo faceva invece concentrare sugli effetti prolungati delle radiazioni atomiche sul popolo giapponese: lavorando – negli anni Ottanta e Novanta – al National Research Council, Robert Christy ha continuato a studiare, e a scrivere relazioni, sui “medical risks” dell’era atomica nel suo complesso.
L’ultima tappa è una specie di sceneggiatura (con una scena centrale) sui rapporti fra Christy ed Edward Teller, uno dei demiurghi base della bomba (e con Reagan presidente, un consigliere ascoltato ed entusiasta dello “scudo stellare”). Teller aveva testimoniato a sfavore di Oppenheimer, durante una celebre inchiesta del dopoguerra sulle infiltrazioni, o influenze, “dei comunisti” all’interno del gruppo degli scienziati atomici. Oppenheimer era stato il maestro di Christy, a Berkeley.
La scena centrale è del 1954: a Los Alamos, durante un picnic lunch che interrompeva una conferenza, Teller, dopo aver puntato Christy, si faceva largo fra scienziati celebri che si rifocillavano, per andare ad abbracciarlo. E Christy – uomo noto per la sua massima educazione – lo lasciava avvicinare per potere meglio voltargli di netto le spalle senza una parola. Nelle sue memorie, Teller avrebbe scritto: «Ero così tramortito e incapace di reagire. Ma poi ho realizzato che la mia vita così come era stata fino ad allora, era ‘over’».
Liborio Noval
(29 gennaio 1934 – 29 settembre 2012)
Fotografo cubano, dell’Avana. E di Fidel Castro Ruz, e di tutta lo storia del regime comunista rivoluzionario. Aveva 78 anni, otto in meno del “Comandante”, diventato, da tempo, quasi invisibile per un cancro che lo sta spegnendo.
Noval era molto bravo e totalmente ligio al sistema castrista. Un iconografo di regime il cui occhio o la cui sensibilità hanno comunque mantenuto movenze da artista non indottrinato. Quasi un’agilità involontaria. Quando Fidel e Raul Castro saranno passati alla storia, tutto quello che Noval ha ritratto e documentato sarà materia fondamentale per gli storici: non solo i fatti di quell’isola, in oltre mezzo secolo di rivoluzione e dittatura permanenti, ma soprattutto il clima e le espressioni del castrismo.
Noval era un ritrattista nato: le sue istantanee su Ernesto Guevara Linch de La Serna – il “Che” -, e su lo stesso Fidel sono propaganda che sfugge alla propaganda. Due diversissimi “machi latinos” che in molte foto perdono la retorica della virilità, diventando due figure solo sensuali, protettive. A volte anche infantili (Guevara più di Castro). Fra le immagini pubbliche, quella di Fidel visto di spalle e dall’alto che conciona a centinaia di migliaia di cubani nella piazza habanera della rivoluzione, dice cose diverse: l’ipnosi che il comandante ha esercitato su quella folla anche con l’enfasi oratoria (Castro andava avanti per ore come un teatrante a prova di sfinimento), e l’assuefazione di quei cittadini al capo che rappresentava la rivoluzione e se stesso.
Un’altra foto di un altro capo preso di spalle è celebre, oltre che magnifica: quella del Negus Hailé Selassié fototografato da Erich Salomon, mentre si affaccia dalla sede della Società delle Nazioni, a Ginevra: diversamente da Fidel, è uno sconfitto (dall’aggressione fascista che lo ha appena cacciato, nel 1935), ma, come Castro, è un capo, o un simbolo, solo: ritratto dal retro, in figura, senza faccia, con l’obbligo, e il narcisismo, di apparire alla folla. Liborio Noval è stato anche il fotoreporter del “Gramma” (il giornale del partito comunista cubano), e il corrispondente di guerra dal Vietnam e dal Nicaragua, e, per mezzo secolo ha sempre accompagnato Fidel Castro in tutte le sue tournée fuori da Cuba, e quando Cuba era ancora un’esportatrice mondiale di un’idea: in Cile, Cina, Messico, Venezuela, Libia, Malaysia, Colombia. Nel 1999, Liborio aveva scelto 77 sue foto del “Comandante”, per pubblicarle in un libro che si chiama, ovviamente, “Istantanee”.