C’era il Renzi rottamatore e oggi c’è il Renzi moderato

C’era il Renzi rottamatore e oggi c’è il Renzi moderato

La frenata è stata improvvisa, brusca. E adesso la campagna elettorale tutta giocata all’attacco sembra essersi arenata. A settembre Matteo Renzi era partito forte: una rincorsa alla premiership all’insegna della rottamazione, del confronto anche acceso con rivali più o meno diretti. Una sovraesposizione mediatica che aveva portato il sindaco di Firenze a un passo dalle percentuali di Pier Luigi Bersani. Poi lo stop.

Da qualche giorno a questa parte Renzi sembra aver tirato i remi in barca. Continua a girare l’Italia con il suo camper come un forsennato, certo. In televisione e sui giornali c’è sempre. Ma la sfrontatezza dei primi tempi l’ha chiusa in un cassetto. Al suo posto, un cavalleresco rispetto per l’avversario che ha tanto il sapore di chi ha perso un po’ di grinta. Probabilmente è una strategia. Magari il profilo “costruito” fino ad oggi rischiava di sembrare troppo distante dal partito. Chissà. Forse quando tra pochi giorni terminerà il lungo giro attraverso l’Italia, il sindaco inaugurerà una nuova fase della sua campagna elettorale. Magari di nuovo all’attacco, dopotutto al primo turno delle primarie ormai mancano solo tre settimane.

Eppure il rallentamento è evidente. Una campagna elettorale in tono minore. Gli errori degli avversari – e ce ne sono – non vengono sfruttati. Renzi passa oltre. Dopo la vicenda della cena milanese organizzata dal finanziere Davide Serra – uno scivolone, mediaticamente parlando – Bersani ha provato ad alzare lo scontro. Ha accusato ingenuamente il sindaco di Firenze, esponendosi a una bella lezione sulla finanza. E invece non è successo praticamente niente, almeno da parte del sindaco.

La rottamazione, il cavallo di battaglia del sindaco. È stata accantonata anche quella. Quando Massimo D’Alema ha annunciato che si sarebbe fatto da parte, Renzi ha chiesto a Rosy Bindi di seguirne l’esempio. Bene, due giorni fa la presidente del Pd ha deciso di ricandidarsi in Parlamento. È pronta a chiedere un’altra deroga al tetto dei tre mandati. Stavolta, però, il primo cittadino di Firenze non alza più la voce. Non infierisce. Forse che la rottamazione era limitata ai soli Veltroni e D’Alema?

Le regole per le primarie hanno rappresentato un fronte di scontro importante con l’establishment del partito. Matteo Renzi ha sollevato più volte il tema, arrivando a chiedere l’intervento del garante della privacy. Oggi, improvvisamente, non se ne interessa più. Intervistato poco fa da Tgcom 24 si è quasi scusato «Non sopporto chi si lamenta» ha spiegato parlando del regolamento adottato per le primarie. E ancora: «Se perderemo non sarà per le regole cambiate, ma perché non saremo stati bravi a farci capire dagli italiani». Il sindaco è onesto e coraggioso quando non cerca alibi. Ma un’inversione così improvvisa lascia un po’ sorpresi.

Renzi il blairiano. Il riformatore di sinistra. Il candidato fuori dagli schemi e dai vecchi retaggi della prima Repubblica. Ma quando il segretario festeggia il successo di Rosario Crocetta («Il primo in Sicilia»), lui rivendica con orgoglio le sue radici Dc. «Bersani a volte fa trasparire un’idea di Pd che non mi convince – l’analisi del sindaco sulla Stampa, un paio di giorni fa – Come se questo partito fosse un’evoluzione della sua militanza e della sua storia personale. Una sorta di nuovo Pci. Non è così. La tradizione cattolico-democratica è linfa vitale per il Pd».

Già, le elezioni in Sicilia. «Con me il Pd arriva al 40 per cento» ha recentemente annunciato Renzi. Il voto siciliano e la vittoria dimezzata del partito – al 13 per cento delle preferenze e in netto calo di consensi rispetto alle precedenti Regionali – potevano offrire un ottimo argomento di confronto. Perché no? Persino un facile spunto per criticare la dirigenza Pd. Anche qui, niente da fare. Il sindaco ha suggerito a Bersani di non «stappare bottiglie di champagne». Forse poteva insistere un po’ di più.

Per non parlare del duro confronto con l’ad Fiat Sergio Marchionne. Tre settimane fa si era sfiorata la rissa. Renzi aveva accusato il manager di aver «tradito gli operai». Per tutta risposta si era sentito definire il sindaco di una «piccola, povera città». Ma anche «la brutta copia di Obama». Alla fine la replica sferzante dell’esponente Pd ha costretto Marchionne a comprare un’intera pagina sulla Nazione per smentire le ricostruzioni giornalistiche e chiedere scusa ai fiorentini. Dopo la tempesta, il sereno. Di fronte alla notizia dei 19 lavoratori di Pomigliano in mobilità per «colpa» del reintegro dei delegati Fiom, da Renzi ci si aspettava almeno una presa di posizione. Mercoledì sera, invece, le prime critiche sono arrivate dalla responsabile del suo comitato elettorale. Oggi, a precisa domanda, il sindaco si è limitato a specificare: «Marchionne si cerca delle polemiche che fatico a comprendere. Io non ho un pregiudizio su di lui».

Per carità, quella di Renzi sarà una strategia studiata a tavolino. Il freno a mano tirato sarà stato imposto da qualche stratega della comunicazione. Magari è solo il preludio a una nuova offensiva mediatica. Intanto, raccontano i bene informati, Pierluigi Bersani inizia a staccarlo nei sondaggi.  

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