1 luglio 2011. Il Consiglio nazionale del Popolo della Libertà elegge per acclamazione Angelino Alfano segretario del partito. Nella grande sala in via della Conciliazione, a Roma, un solo delegato vota contro. È il consigliere regionale friulano Antonio Pedicini. Mentre il Pdl incorona il successore di Silvio Berlusconi, lui si dissocia. Resta seduto tra gli applausi, attirandosi le risate di scherno di tanti presenti. Incurante, Pedicini se la prende con un partito che sta perdendo il contatto con i suoi elettori. Chiede primarie e congressi. Sfiducia una classe dirigente non più all’altezza. A un anno e mezzo di distanza si può dire che aveva ragione lui.
Consigliere Pedicini, che è successo da quel consiglio nazionale?
Lei non segue le vicende politiche in Friuli?
Non molto.
Allora la aggiorno. Lunedì scorso durante la riunione del gruppo consiliare in Regione, il presidente Renzo Tondo ci ha chiesto di trasformarci nel Popolo del Friuli Venezia Giulia. Una realtà autonoma dal Pdl. Entro il mese di novembre l’assemblea costituente sancirà la separazione.
Una scissione. È stato coerente con le critiche che aveva rivolto al Popolo della Libertà.
Se è per questo bisogna riconoscere che oggi Silvio Berlusconi dice cose ben peggiori di quelle che dicevo io un anno fa.
Luglio 2011. L’assemblea nazionale del Pdl elegge Alfano segretario nazionale.
Angelino Alfano, poverino. Ammetto che mi fa un po’ di compassione. I vertici lo stanno strumentalizzando per ottenere un passaporto per il prossimo futuro politico. Non si sono accorti che anche loro saranno spazzati via.
Lei si era espresso contro il segretario, unico in sala.
Non ce l’avevo mica con lui. In discussione era il metodo. Se un partito che nasce leaderistico decide di cambiare natura e dotarsi di un segretario, le cose non possono funzionare così. Il segretario non può essere nominato per successione. Lo devono consacrare il popolo, gli elettori. Invece Alfano lo ha scelto direttamente Berlusconi. Peraltro senza troppa convinzione. Che al segretario mancava il “quid” non l’ho mica detto io.
I delegati che hanno acclamato Alfano però erano convinti.
Convinti? Non so. Mi sembra che in Italia l’accondiscendenza supina sia una condizione ricorrente.
Si poteva fare qualcosa già allora per salvare il Pdl?
Si dovevano fare le primarie, subito. Per rivitalizzare il rapporto tra una classe dirigente – comunque da sostituire – e il nostro elettorato.
Le primarie si faranno adesso, proprio su insistenza di Alfano.
Sì, primarie finte. Ora si comincia con il giochino del regolamento: le facciamo alla francese o all’americana? Ma lei sa dirmi quanti candidati ci saranno? Se facciamo le primarie come le ha fatte il Partito democratico quando ha eletto Prodi non serviranno a granché. Il problema è che la classe dirigente fallimentare resta al suo posto.
Un anno e mezzo fa annunciava preoccupato il crollo dei consensi sul territorio. Oggi il partito ha raggiunto il quattrodici per cento.
Il quattordici? Lei è un ottimista. Vuol dire che stiamo già risalendo nei sondaggi. Io credo che siamo ben al di sotto. E lo dico con grande amarezza. Il nostro corpo elettorale è ancora lì, non è andato neppure con Grillo. Semplicemente, ha smesso di votare. Perché la nostra offerta politica non è più appetibile. Ma davvero qualcuno crede che le primarie organizzate il 16 dicembre da Alfano potranno risvegliare le coscienze dei nostri elettori?
Berlusconi ha ancora un ruolo importante nel partito?
Berlusconi è un uomo intelligente. Si è reso conto che la sua parabola politica sta finendo. Ecco perché ieri, durante l’ufficio di presidenza, ha detto “Ci vorrebbe un altro me, come nel 1994”. Lui ormai si considera fuori dai giochi. Il Cavaliere ha rappresentato una grande opportunità che l’apparato di partito non ha saputo cogliere. Non è stata colta l’occasione a fronte di tutti consensi che avevamo ottenuto. Sì, perché i voti li portava lui. Uscito di scena Berlusconi, il partito è crollato. E ritengo molto difficile che Alfano possa riappropriarsi di quei consensi.
Ancora Alfano. Allora ce l’ha con lui.
Vede, il segretario ha fatto esattamente quello che non doveva fare. Ha mancato il rinnovamento. È un giovane politico di quarant’anni: doveva imporre una gestione innovativa del partito, mi sarei aspettato un atteggiamento alla Renzi. Invece si è messo attorno gli stessi dirigenti. Ha girato per un anno regioni e province consolidando i rapporti con l’establishment che già esisteva.
Non metto in dubbio il suo grande intuito politico. Ma come è possibile che nell’estate 2011 nessun altro si fosse accorto dei rischi che correva il Pdl?
Se ne accorgevano tutti. Ma se si stendeva una mano, si riceveva. E molti hanno preferito fare finta di non vedere. Il limite dei dirigenti del Popolo della libertà è proprio questo: vivono la politica giorno per giorno. Senza guardare al futuro.