La solitudine del rottamatore. L’ha sperimentata negli ultimi mesi il sindaco di Firenze Matteo Renzi. La sta scoprendo in queste ore l’ex ministro della Gioventù Giorgia Meloni. Uno nel Partito democratico, l’altra nel Popolo della Libertà, ma il copione sembra lo stesso. Entrambi si sono candidati alle primarie per rinnovare la classe dirigente del partito, tutti e due si sono ritrovati soli nella battaglia. Almeno nel Palazzo. Accompagnati da buona parte della base (così sembra). Spesso da qualche dirigente locale. Ma senza alcun seguito – o quasi – tra i dirigenti e gli eletti in Parlamento.
Giorgia Meloni ha annunciato la sua candidatura ieri, nell’ultimo giorno disponibile. E tra i berlusconiani la sua sfida al segretario Alfano sta già creando scompiglio. Nel Pdl non è un mistero che le primarie, così come sono state pensate, dovranno rappresentare un trampolino di lancio per l’ex Guardasigilli. Il giovane segretario ha chiesto con insistenza la consultazione popolare, ma desidera limitare il più possibile il numero degli avversari. Punta a raggiungere percentuali ben oltre il 50 per cento per legittimarsi agli occhi degli elettori e del partito. Ma anche per emanciparsi dal Cavaliere. Per una volta, tutti d’accordo. Davanti alle perplessità di Berlusconi i dirigenti di via dell’Umiltà si sono stretti attorno ad Alfano. Assicurando al segretario il loro sostegno.
La candidatura di Giorgia Meloni ha modificato lo scenario. Con tutto il rispetto per Vittorio Sgarbi, Giancarlo Galan e Daniela Santanchè, l’ex titolare della Gioventù è l’unica in grado di insidiare Alfano. È presto per scoprire i programmi. Non è ancora certo neppure il numero dei candidati (al momento sono una ventina, ma domenica prossima ognuno dovrà presentare diecimila firme a sostegno della propria corsa. E non è detto che tutti ci riescano). Ma è chiaro che la campagna elettorale di Giorgia Meloni è destinata a lasciare il segno. La sua non sarà una gara a perdere bene. E dietro le educate frasi di circostanza – «Una competizione vera – ha detto stamattina – può rappresentare un’occasione anche per Alfano» – l’ex ministro sembra pronta a dare battaglia. «Chi ha incarichi nazionali nel Pdl dovrebbe farsi da parte e lasciare spazio a una nuova generazione. Non è solo un problema di persone. Dobbiamo rottamare anche i comportamenti». Sembra di sentire il sindaco di Firenze.
Al netto dei programmi, entrambi i rottamatori hanno gioco facile ad attaccare i rispettivi segretari sulle future proposte politiche. Renzi insiste molto sul presunto accordo tra il Partito democratico e i centristi di Casini? Giorgia Meloni attacca Alfano sul sostegno al Monti bis. Le critiche al governo tecnico pagano, in termini di consensi. La giovane dirigente ex An lo sa, e insiste. «Non basta che si dica sì a Monti a patto che non ci sia la sinistra – ha scritto poco fa su Twitter – Anche se ci fossero Fini, Casini e Montezemolo il mio resta un no». Un modo come un altro per sottolineare le incertezze del segretario nel rapporto con il Professore.
I gruppi dirigenti hanno preso le distanze. Alla tre giorni fiorentina organizzata lo scorso fine settimana da Renzi si sono presentati dieci parlamentari democrat su oltre trecento. Da ieri nel Pdl è in corso una gara a dissociarsi da Giorgia Meloni. A partire dai dirigenti che hanno condiviso con lei il percorso in Alleanza Nazionale (fanno eccezione Fabio Rampelli e Marco Marsilio, della stessa corrente). Prima il sindaco di Roma Gianni Alemanno, poco fa anche il capogruppo al Senato Maurizio Gasparri e il coordinatore Ignazio La Russa. Nessuno ha gradito la scelta di Meloni e si affretta a confermare il suo sostegno ad Alfano. Una scelta obbligata. La candidatura di Giorgia Meloni rischia di indebolire la figura del segretario. Ma è proprio a lui che si rivolge l’apparato di partito in vista delle prossime elezioni (e della compilazione delle future liste elettorali).
Con poca fantasia, i detrattori di Renzi e Meloni hanno fatto ricorso alle stesse argomentazioni. I rottamatori sono stati accusati di voler sfasciare il partito. Dietro alla candidatura di entrambi è stata intravista la mano di Berlusconi. Un oscuro disegno del Cavaliere per sabotare le competizioni. Per fermare la pericolosa ascesa dei due, tanto nel Pd che nel Pdl c’è persino chi ha pensato di cancellare le primarie. Appellandosi a regolamenti, statuti e calendari. La scorsa estate ci hanno provato in tanti nel partito di Bersani, qualcuno ci sta ragionando oggi tra i berlusconiani. Magari sfruttando la recente decisione di anticipare le Politiche in un election day a marzo.
Giorgia Meloni assicura di aver già ricevuto numerose manifestazioni di stima dalla base del partito. I militanti avrebbero risposto con entusiasmo alla sua candidatura. Qualche deputato pidiellino, pur non appoggiando la corsa dell’ex ministro, conferma. «Tra i sindaci, nei consigli regionali e provinciali, c’è tanta voglia di cambiare. Dal territorio molti si stanno già informando sulla battaglia di Giorgia». Non solo. Sarebbe tentata dal sostegno anche tanta gente che con An non ha mai avuto nulla a che vedere. Ex Forza Italia con la Meloni? Perché no. Davanti a un gruppo dirigente che si stringe attorno al segretario per conservare le proprie posizioni, Giorgia Meloni potrebbe non incontrare troppe difficoltà a raccogliere consensi. Proprio come è accaduto al sindaco di Firenze.
Negli ultimi due mesi Matteo Renzi è finito al centro di tante polemiche. Nate quasi sempre all’interno del suo partito. Giorgia Meloni sta per iniziare. In meno di 24 ore è già stata più o meno velatamente accusata di essere in cerca di pubblicità, di portare scompiglio nel partito e di voler spaccare la componente degli ex An. La sua candidatura dà fastidio. Forse fa paura. «La Meloni – ha spiegato poco fa uno dei candidati alle primarie Pdl Guido Crosetto – offre la voce a una tradizione culturale politica che cerca identità. Cavalca la volontà di rinnovamento della classe dirigente. Questo la facciamo anche io, Galan e Daniela Santanchè, ma la Meloni può contare su un radicamento sul territorio che nessun altro candidato di Fi ha mai avuto».