Chi si aspettava un duro attacco a Pier Luigi Bersani resta deluso. Il finanziere Davide Serra arriva alla Leopolda per confermare il suo sostegno a Matteo Renzi, ma preferisce evitare polemiche. Qualche settimana fa il numero uno della società di investimento Algebris aveva organizzato una cena elettorale per il sindaco di Firenze. Un incontro a Milano, alla Fondazione Metropolitan, a porte chiuse. Tanto era bastato al segretario Pd per criticare Renzi («Chi sta nei paradisi fiscali, coi banditi della finanza, non può dare consigli»), con un chiaro riferimento alla sede alle Cayman di un ramo della società di Serra. Ne era nato un duro scontro tra Bersani e il finanziere. La promessa di pronte querele. Ma soprattutto una battuta d’arresto, della campagna elettorale fino a quel momento quasi perfetta di Matteo Renzi, che non si era schierato mai in alcun modo a difesa del suo supporter e del suo diritto a fare ciò che fa.
Oggi il finanziere torna sulla scena della primarie. Arriva alla Leopolda per difendere il proprio operato. Raccontare la sua storia. Metterci la faccia. «La finanza non è tutta negativa, dipende solo da come la si utilizza e qual è l’obiettivo».
In realtà l’intervento di Serra è un lungo spot. Il finanziere italiano che da vent’anni vive a Londra non cita mai le Cayman. Solo un breve passaggio su Bersani, proprio all’inizio. «Mi chiamo Davide Serra, ho 42 anni e qualcuno mi ha dato del bandito. Lascio decidere a voi se siamo dei banditi, vi racconto per questo la mia storia». Dallo staff di Renzi raccontano che ha chiesto lui di intervenire alla Leopolda. Ha incontrato il sindaco di Frienze quasi per caso – uno scambio di mail, poi una chiacchierata – e si è appassionato alla causa. «Se potesse farebbe un endorsement ancora più deciso». Raccontano che Serra abbia deciso di sostenere Renzi con un bonifico di 5-10 mila euro «Ma noi quei soldi ancora non li abbiamo visti, arriveranno tra un po’ di tempo» scherzano dallo staff del sindaco.
Dal palco della Leopolda Serra racconta la sua storia. Spigliato, parla a braccio davanti a un migliaio di persone. Ricorda la sua famiglia «normalissima», gli sforzi compiuti dai gentiori per farlo studiare alla Bocconi. Unico in casa a frequentare l’università. Le esperienze all’estero. Prima gli esami in Belgio e Norvegia, poi il lavoro a Londra. «Era il 1995 – ricorda – mandai 140 curriculum, e feci 10-15 colloqui». È un’operazione simpatia. Interrotto da qualche applauso, Serra si definisce un emigrato, seppure «di lusso». Sei anni fa la nascita di Algebris. «Una piccola-media azienda» spiega. Che oggi gestisce un miliardo di dollari.
Dopo le note personali, la speranza. «Vorrei che gli imprenditori e i giovani rimanessero in Italia». Con Matteo Renzi, Serra ha in comune un’esperienza negli scout. Un percorso che gli ha insegnato ad aiutare gli altri, assicura. Anche per questo oggi sostiene 4mila bambini in Tanzania attraverso alcuni missionari. Dalla sala parte l’ennesimo applauso. La vicinanza a Renzi? «Impegno civile». Perché «sarei fiero se fosse lui il primo ministro».
Al sindaco fiorentino ruba quasi la scena. Finito l’intervento, Serra raggiunge la sala stampa dove i giornalisti si accalcano per una battuta. Lui si concede, con gentilezza. «Ma pima di fare una domanda vorrei che ognuno si presentasse». Stavolta si parla della Cayman e di politica. Le critiche di Bersani sui paradisi fiscali? «Non capire e strumentalizzare è sintomo di ignoranza». E ancora: «Non sono un bandito, paghiamo le tasse, siamo imprenditori, lavoriamo alla luce del sole. Quello è stato un insulto gratuito fatto secondo me in maniera erronea. Se qualcuno ha fatto un errore, chieda scusa e si vada avanti». Anche la querela sembra sfumare.
Perché Renzi? «Con lui riesco a dialogare, è trasparente, parla la mia lingua. Ho deciso di dargli una mano, mi espongo». Non abbastanza da fare il ministro. «No, a ciascuno il suo mestiere. Io sono contento del mio lavoro, ho un certo successo, mi accontento. Non lo saprei fare, sarebbe un disservizio. Io ho delle competenze che metto al servizio di qualunque governo mi voglia ascoltare».