I fili invisibili che connettono gli eventi della vita, talvolta, compiono dei tragitti stupefacenti. Trentuno anni fa, George Harrison e Ravi Shankar organizzarono il primo grande concerto benefico della storia, al Madison Square Garden di New York City. Due giorni fa, 11 dicembre, il più celebre sitarista di tutti i tempi moriva, alla veneranda età di 92 anni. Ieri, 12 dicembre, un manipolo di vecchie volpi del rock – tra cui Paul McCartney, ex compagno di strada di Harrison ed amico di Shankar – dava vita ad uno degli eventi no-profit più importanti di sempre, una raccolta fondi per aiutare le persone colpite, ad ottobre, dall’uragano Sandy. Dove? Guarda caso, proprio al Madison Square Garden di New York City.
In un’atmosfera eccitata, la città americana ha accolto alcune delle più grandi star della musica internazionale: dai Rolling Stones a Bruce Springsteen, da Roger Waters a Eric Clapton (il quale, incredibile a dirsi, era presente anche all’evento del 1971). Un parterre davvero niente male, in grado di attirare anche una discreta attenzione mediatica: due miliardi di telespettatori, grazie anche allo streaming web, hanno seguito l’evento in diretta. L’atmosfera era miracolosa, basti pensare che “Relief for Sandy” è stato in grado di resuscitare un cadavere del rock come Jon Bon Jovi.
Il biondo rocker, invitato in qualità di esponente del New Jersey (una delle zone più colpite dall’uragano), ha duettato insieme al conterraneo Springsteen in “Born to Run”. Con qualche problema audio al microfono, ok, ma l’austerità della beneficenza può causare anche questo. Tra i punti più bassi della serata, da segnalare sicuramente Adam Sandler che violenta Hallelujah di Leonard Cohen adattandone il testo: «Hallelujiah, Sandy Screw Ya, We’ll Get Through Ya, Because We’re New Yorkers». Incredibilmente, agli americani è piaciuta molto. Quando si dice l’effetto simpatia.
Una notizia, fin dalle prime ore del mattino, aveva scosso la città: Paul McCartney avrebbe impersonato Kurt Cobain in una reunion dei compianti Nirvana. La preoccupazione tra i fan ha serpeggiato a lungo via Twitter, raggiungendo il suo apice poco prima che l’ex Beatle invitasse sul palco Dave Grohl, Krist Novoselic e Pat Smear, ovvero quel che resta della band di “Smells like teen spirit”. L’esibizione (un brano originale) si è rivelata comunque meno inadeguata del previsto. La chiusura, dopo quasi sei ore di concerto, è stata affidata ad Alicia Keys ed al suo anthem pop,”Empire State of Mind”, accolto da un boato.
Il bilancio? Positivo, musicalmente ed economicamente parlando. I finanziamenti raccolti, che serviranno a supportare le attività volontaristiche dell’associazione benefica Robin Hood, dovrebbero essere davvero importanti (la cifra esatta non è ancora pubblicata e la raccolta fondi prosegue sul sito ufficiale). Curioso come la serata sia stata segnata dall’abbondanza di musicisti inglesi. Un particolare evidenziato anche da Mick Jagger, il frontman dei Rolling Stones: “State assistendo alla più grande raccolta di britannici mai vista al Madison Square Garden”, ha detto davanti a due miliardi di spettatori. Cifra ragguardevole, questa. Basti pensare che la finale del mondiale di calcio 2010 ne ha totalizzati “soltanto” 700 milioni. E se la musica è capace di attirare più telespettatori del calcio, vuol dire che in questo mondo c’è ancora speranza.
La diretta
I Nirvana tornano sul palco
Bruce Springsteen