Tribunale di Milano, lunedì 14 gennaio. Processo Ruby. Mentre i giudici si confrontano per quattro ore in Camera di Consiglio, in aula gli inviati delle principali testate nazionali attendono, trascinando freneticamente le dita sui loro tablet e sui loro smartphone. Ogni tanto, qualcuno si scambia un’occhiata d’intesa, un breve commento. Nell’aria non vola una mosca: tutti, a testa bassa, sono concentrati sui loro apparecchi tecnologici. “Però, che lavoratori!”, potrebbe pensare qualcuno, assistendo alla scena. Ma il motivo del loro alacre ticchettare non è esattamente quello che ci si aspetta. Nessuna e-mail cui rispondere, nessun articolo da ultimare, nessun dispaccio d’agenzia da lanciare. I giornalisti, infatti, sono in tutt’altre faccende affaccendati.
Sugli schermi touch degli iPad appaiono sedici quadratini bianchi, ognuno contente una lettera. Con i polpastrelli, i cronisti uniscono le lettere per formare una parola di senso compiuto. Più la parola è lunga, più punti vincono. Ma non è facile: ogni schema cela al suo interno fino a 5000 vocaboli diversi. Alcuni di loro giocano in solitaria, altri sfidano amici e follower, altri ancora ingaggiano battaglie all’ultimo dittongo con i colleghi seduti a pochi metri da loro. I giornalisti, si sa, per i “giochi di parole” hanno un debole innato. Ma la Ruzzle-mania non pare aver contagiato soltanto i professionisti della penna: il rompicapo, disponibile in 128 paesi, è già stato scaricato quindici milioni di volte. E in Italia, domina la classifica di download sia dello store di Android che di quello targato Apple.
In sé, la formula non è certo una novità. Ruzzle ricalca in tutto e per tutto le regole del vecchio Boggle, il gioco ideato da Alan Turoff nel 1972 e commerciato in Italia con il nome di Paroliere. Un tempo si giocava al tavolo, tra amici; oggi, qualche era tecnologica dopo, tutto è online e digitalizzato. Ad intuirne le potenzialità per primi sono stati i ragazzi di Mag Interactive, la casa di produzione americana che ha sviluppato l’applicazione. Quali sono i segreti di Ruzzle? Prima di tutto il nome, una variazione di “puzzle”, accattivante e facile da ricordare. In seconda istanza, la sua predisposizione alla socialità: come detto, si possono sfidare amici di Facebook, follower di Twitter, perfetti sconosciuti “incontrati” attraverso la piattaforma del gioco. Infine, la sua rapidità d’utilizzo: pochi clic e ti ritrovi già immerso nella partita.
Come Ruzzle sia diventato mainstream lo conferma anche l’annuncio di Gerry Scotti, che ha proclamato di volerlo trasformare in un quiz televisivo. Le sfide si conducono “al meglio dei tre”, particolare che contribuisce a rendere il gioco ancora più appassionante. Inoltre, Ruzzle si propone come perfetto intermezzo per le pause lavorative: ogni scontro dura circa cinque minuti, si utilizza direttamente dallo smartphone – il che aiuta a nascondere il passatempo dalla sorveglianza dei superiori – ed è continuamente stimolante, proprio a causa della sua componente sociale. E soprattutto, è estremamente semplice – chiunque con un po’ di capacità e di intuito può mettersi alla prova.
La competizione è talmente accesa che, prima sotto traccia, poi sempre più alla luce del sole, hanno iniziato a diffondersi le prime forme di “doping”. Ruzzle Cheater, ad esempio, è stato creato da un giovane ingegnere di Catania: il 23enne Federico Fallico ha ideato un algoritmo in grado di risolvere gli schemi proposti dal software. Il suo sito è diventato un successo, con oltre 140mila visite al giorno. Ma oggi è lui stesso, a Panorama, a dire “non barate, così si perde tutto il bello. Utilizzate i “trucchi” legali, partendo sempre dalle lettere che offrono i moltiplicatori. Così il vostro punteggio ne guadagnerà”. Intanto, Ruzzle continua a mietere record di vendite e download: durerà a lungo? Gli ideatori se lo augurano. Ma la concorrenza, nel mobile gaming, è sempre più agguerrita.