Storia MinimaRatzinger e la solitudine del rivoluzionario

Ratzinger e la solitudine del rivoluzionario

È sempre difficile dire delle cose intorno a grandi figure, sia che con esse si abbia un rapporto di consonanza, sia che, viceversa come nel mio caso se ne abbia uno di distanza.

La decisione di tornare ad essere Joseph Ratzinger e di dimettersi da Benedetto XVI, riguarda una condizione in cui la prima questione concerne il confronto con il potere. È stato detto, anche autorevolmente. Concordo. M poi si tratta di dare una fisionomia a ciò che chiamiamo potere, specie in questo caso. Perché sarebbe disdicevole oltreché stupidamente beffardo pensare di trattare il Papa come l’amministratore delegato dei una banca sotto inchiesta.

Di fronte Benedetto XVI aveva molti problemi. A differenza del suo predecessore, di cui doveva sopportare soprattutto l’ombra ingombrante sia del movimentismo affascinato da quella potenza carismatica, sia la enorme capacità istrionica e un uso del proprio corpo, Benedetto XVI non aveva una potenza del male attorno a cui evocare l’istanza della libertà. L’impero sovietico era crollato e nel frattempo nessuno per davvero si mette a fare la guerra alla Cina. Nemmeno sul piano della libertà religiosa, una guerra che il Vaticano ha combattuto in silenzio e comunque in solitudine in tutti questi anni.

Rimaneva possibile combattere due tipi di guerre: o la guerra contro un consumismo sfrenato, guerra possibile ma probabilmente affrontata senza truppe convinte, oppure lanciarsi in una battaglia per la libertà contro i fondamentalismi.

Entrambe forse erano evocabili, ma non perseguibili. Rispetto al primo tipo di guerra possibile manca un vocabolario per non cedere al fascino del lusso. È significativo che nessuno abbia pensato per davvero di utilizzare il vocabolario dell’antiutilitarismo in economia (prima di tutto Serge Latouche, lo osservo a prescindere che si condivida o meno quella proposta, personalmente ho molte perplessità, ma non importa) per ripensare una nuova visione dello sviluppo. L’idea e il concetto di limite, così come descritto da Latouche nel suo ultimo libro cosa ha di non sfruttabile o di non appropriabile nel lessico tradizionale della Chiesa? Perché quello che è un successo di opinione non si trasforma in un linguaggio di promozione? Perché quello che appare come un lemma della non conformità non è fatto proprio da una Chiesa che insiste sulla propria alterità?

Rispetto al secondo tipo di guerra possibile manca la forza di fare una guerra ai fondamentalismi perché significa affrontare anche quelli di casa propria. E quelli di casa propria non si ha la forza di affrontarli perché la Chiesa da tempo non mostra di sé il volto della forza.

Differentemente: la sa esercitare in nome della paura, ma non in nome di un progetto possibile (una condizione che spiega perché quella che fu la linea di condanna ai lefevriani del precedente papato non poteva essere quella di questo papato). Progetto che, infatti, ancora latita. Da ieri senza un volto in grado di rappresentare un’ipotesi di cammino.

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