«La strada è stretta» spiega ormai da qualche giorno il premier incaricato Pier Luigi Bersani. È una forma di ottimismo. A giudicare dal dibattito politico di queste ore il tentativo del segretario è già fallito. Di fatto, le consultazioni devono ancora iniziare (esclusi i primi vertici con le parti sociali è da domani che prenderanno il via i contatti ufficiali con i gruppi parlamentari). Ma nel Palazzo quasi tutti sembrano concentrati sulla fase successiva. Sugli scenari che dovranno inevitabilmente seguire l’insuccesso di Bersani.
Chissà se andrà davvero così. Chissà se alla fine il segretario dovrà arrendersi e non riuscirà a dar vita a un esecutivo di centrosinistra, magari aperto alle altre forze politiche sui temi delle riforme. È presto per dirlo. La strada che porta al nuovo governo è ancora aperta. Eppure in Parlamento sembrano esserci pochi dubbi. L’esecutivo immaginato dal leader Pd non nascerà mai: Pdl, montiani e una parte dei dirigenti democrat hanno già spostato l’attenzione sul piano B. Si tratti di nuove elezioni o di un governo del presidente, la soluzione di riserva è tornata prepotentemente d’attualità.
Una situazione surreale. Tanto che i primi a dubitare del tentativo di Bersani sarebbero proprio alcuni colleghi di partito. Non è un mistero: a Largo del Nazareno c’è chi è convinto della necessità di un dialogo con il Pdl. La chiusura del segretario a Silvio Berlusconi – pure approvata all’unanimità nell’ultima Direzione – non convince tutti. L’ultima polemica riguarda le dichiarazioni di Graziano Delrio, presidente dell’Anci e renziano. Sostenitore della necessità di un governo di scopo con il Pdl in caso di fallimento della strategia bersaniana. Soliti scontri nel partito, accuse già viste. Il sindaco di Firenze Matteo Renzi si chiama fuori: «La mia lealtà è fuori discussione» ha chiarito poco fa, confermando la sua assenza alla Direzione di questa sera. Ma un dubbio resta: se sono tutti convinti della linea di Bersani, perché c’è chi pensa già al dopo?
«Dobbiamo essere fiduciosi per forza», spiegava ieri il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Sarebbe strano altrimenti, visto che è stato proprio lui a “pre-incaricare” Bersani. Eppure anche al Colle le aspettative non sembrano troppe. Il presidente ha posto paletti piuttosto rigidi al tentativo di formare un governo. Il segretario Pd conta sull’assenza strategica di alcuni senatori al momento del voto di fiducia? Al capo dello Stato potrebbero non bastare: prima di mandare il nuovo esecutivo in Parlamento, Napolitano vuole verificare i numeri che il segretario può fornire. Senza una maggioranza certificata, nessun salto nel buio.
Di certo, almeno per la fiducia iniziale, il governo Bersani avrà bisogno del sostegno dei montiani di Scelta Civica. Peccato che una delle componenti del gruppo – l’associazione di Montezemolo Italia Futura – sia concentrata su altri scenari. «Quello che serve all’Italia – si legge sul sito del movimento – è esattamente il contrario di un governicchio costretto a rincorrere i singoli voti, accontentando ogni pulsione populista pur di vivacchiare». La soluzione, anche per gli uomini di Montezemolo, è un governo di scopo aperto al Pdl. La condizione necessaria resta il fallimento del tentativo di Bersani.
Beppe Grillo è uno di quelli che neppure considera la riuscita del piano. Il leader del Movimento Cinque Stelle ha già assicurato – ormai svariate volte – che i suoi senatori non voteranno la fiducia a Bersani. Il blogger ha già scommesso sulla nascita di una maggioranza Pd-Pdl. L’obiettivo è presentarsi in campagna elettorale potendo denunciare l’ennesimo inciucio della classe politica.
E poi ci sono i berlusconiani. Anche qui sono in molti a dare per scontato il fallimento di Bersani. I contatti tra diversi esponenti del Pdl e le controparti democrat sono in corso da alcuni giorni. Dietro la minaccia del ritorno al voto – reiterata stamattina – il Cavaliere è convinto che ci sia ancora lo spazio per entrare al governo. Si punta a un esecutivo che coinvolga Pd, Pdl e le altre forze responsabili. «Bersani premier e Alfano vice» ha proposto poco fa Berlusconi, il chiaro tono della provocazione. Non è chiaro se domani sarà direttamente il Cavaliere a guidare la delegazione pidiellina che incontrerà il segretario democrat («uno che rappresenta a malapena mezzo Pd» avrebbe confidato ai suoi). È certo che la strategia berlusconiana è già focalizzata su quello che accadrà dopo.