Berlusconi: Il governissimo o tutti a casa

Le polemiche sulla visita fiscale. Il primario: il presidente resta ricoverato.

«Siamo in guerra, in piena campagna elettorale. State pronti». L’ordine di scuderia parte da casa del Cavaliere, arriva a via dell’Umiltà, dove Angelino Alfano ha i suoi uffici, e da lì, dalle stanze romane del Pdl si diffonde a tutto il gruppo dirigente berlusconiano: «Adesso in televisione dovete mostrare i denti». E infatti da ieri i volti televisivi del Pdl si sono notevolmente induriti, Silvio Berlusconi ha ricevuto una seconda condanna in primo grado per il caso Unipol e ora teme, anzi ha praticamente la certezza, di ricevere la terza sul caso Ruby. E il timore diventa terrore anche nelle parole decise che l’onorevole e avvocato Nicolò Ghedini versa in queste ore nell’orecchio del grande capo, sofferente per un’infezione all’occhio che lo ha costretto al ricovero ospedaliero.

«Sembra un piano per farti decadere in diciotto mesi» – gli sussurra Ghedini – perché le nuove regole sull’anticorruzione volute dal Guardasigilli Paola Severino prevedono l’incandidabilità e persino la decadenza dal mandato parlamentare per cumulo di condanne. E dunque, a Via dell’Umiltà dicono che «in un clima così si fa solo la guerra». Così gli uomini del Cavaliere hanno recapitato un messaggio chiaro agli ambasciatori del Pd: venerdì prossimo si vota per il presidente del Senato «e noi usciamo dall’aula, faremo di tutto per far mancare il numero legale», per bloccare l’elezione del presidente del Senato.

Quali gli effetti? Questi: niente governo, niente consultazioni, impasse assoluta, discesa rapida verso il voto anticipato. Un’ipotesi, questa delle urne, che trova prontissimo solo il Pdl (oltre a Beppe Grillo). Ed è infatti con estrema perizia che il Cavaliere ha ormai pianificato una mobilitazione permanente del suo elettorato attraverso manifestazioni pubbliche e iniziative di piazza come quella del 23 marzo prossimo in Piazza del Popolo a Roma. Ma Berlusconi è soprattutto un uomo d’affari, rapido, furbo e duttile: dunque dietro ogni mossa c’è ne spesso un’altra occultata. E dunque nulla è definitivo.

Il Cavaliere teme il berlusconicidio, la caccia all’uomo, “il rogo” come dice Alfano, e sa di avere solo due opzioni per rallentare la marcia implacabile dei magistrati: mostrare al Pd ancora intontito dalla batosta elettorale il volto più duro di cui dispone, una maschera feroce per costringere il partito della sinistra a un accordo, rendendo a tutti molto chiaro che il voto anticipato non è un alternativa che spaventa il centrodestra. E dunque per il Cavaliere è necessario far capire a tutti gli attori sulla scena, dal presidente della repubblica fino al segretario del Pd Pier Luigi Bersani, che lo stallo istituzionale è dietro l’angolo: venerdì prossimo non ci sarà un presidente del Senato.

Il Pdl sa che Grillo potrebbe disertare il voto, e a quel punto – questo il piano – anche uomini del Pdl uscirebbero dall’Aula di Palazzo Madama facendo venir meno il numero legale, bloccando la nomina della seconda carica dello Stato. Certo è ancora, soprattutto, solo una minaccia. In realtà Berlusconi non ha deciso nulla, fedele com’è al suo carattere e alla sue inclinazioni più naturali: il Cavaliere non esclude di poter in fine piegare il Partito democratico a un accordo, a un governissimo, e difatti, nei corridoi, negli angoli remoti e poco illuminati del Palazzo, gli ambasciatori continuano a parlottare: né Gianni Letta né Denis Verdini sono stati ritirati dal campo. Al contrario, nelle pieghe delle dichiarazioni di Massimo D’Alema e di Rosy Bindi, ad Arcore non si fanno che leggere allusioni occulte, aperture in controluce. Se poi l’accordo non si dovesse fare, allora «poco male», pensa un Berlusconi convinto che il prossimo leader del Pd, Matteo Renzi, dopo le elezioni sarà «meno cocciuto» di Bersani.

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