La costituzione delle nuove Camere, la formazione del governo e l’elezione del prossimo presidente della Repubblica. Il futuro politico del Paese passa necessariamente da queste tre tappe. Tutte in calendario nel prossimo trimestre. Un percorso scandito da regolamenti parlamentari e norme costituzionali. Sono tre le date fondamentali: 15 marzo, 15 aprile, 15 maggio. Tra due settimane inizierà il voto dei presidenti di Camera e Senato. La seconda data dovrà coincidere con la prima votazione per l’elezione del nuovo capo dello Stato. Il 15 maggio scadrà il mandato di Giorgio Napolitano.
1) Si parte venerdì 15 marzo. Camera e Senato sono convocate per eleggere i due presidenti delle assemblee. Le trattative sono già in corso. Di prassi la presidenza di Montecitorio spetta all’opposizione. Una norma non vincolante: nella legislatura appena conclusa i due rami del Parlamento erano presieduti da due esponenti di centrodestra. Stando alle prime indiscrezioni, la poltrona di Gianfranco Fini potrebbe finire a un deputato del Movimento Cinque Stelle. Si è fatto il nome della giovane deputata Marta Grande. L’alternativa più probabile indica un rappresentante pidiellino. Ma nulla vieta che alla fine la presidenza della Camera possa andare al Partito democratico. In questo caso il nome più gettonato è quello dell’ex capogruppo democrat Dario Franceschini.
2) E il Senato? Il Popolo della libertà ha già chiesto la presidenza di Palazzo Madama. Nei giorni scorsi era persino circolato il nome di Silvio Berlusconi. Dato il difficile equilibrio della Camera alta – nessuna coalizione ha ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi – è più facile che la poltrona di Renato Schifani vada a un esponente Pd. Si parla con insistenza di Anna Finocchiaro. C’è anche un altro scenario. Se Pd, Pdl e grillini non riescono a trovare un accordo, in Parlamento si apre una fase di stallo. La prima conseguenza sarebbe la permanenza in carica dell’attuale governo Monti (che resta comunque nel pieno delle sue funzioni fino alla nascita del prossimo esecutivo). La seconda potrebbe essere la proroga dei due attuali presidenti della Camere.
3) Eletti i nuovi presidenti di Camera e Senato, iniziano le consultazioni al Quirinale. Il presidente della Repubblica riceve al Colle i rappresentanti delle forze politiche e gli ex capi di Stato. A questo passaggio devono seguire la nomina e il giuramento del prossimo esecutivo. Al momento una delle ipotesi più probabili è la nascita di un governo di centrosinistra. Un esecutivo guidato da Pier Luigi Bersani con il sostegno dei senatori del Movimento Cinque Stelle (necessario per ottenere la fiducia a Palazzo Madama). Si tratterebbe di un governo di scopo, con 7-8 punti qualificanti. Senza il sostegno di Grillo, un altro scenario potrebbe vedere Pd e Pdl sullo stesso fronte. In questi giorni c’è chi scommette che i due partiti possano unire le forze – per superare la fase d’emergenza – e dare vita a un governissimo. Magari grazie alla mediazione di Gianni Letta e Massimo D’Alema. Senza accordo, si apre la strada di un governo del Presidente. Napolitano affida un mandato esplorativo a una personalità di primo piano, perché verifichi il sostegno del Parlamento a un esecutivo a sua guida. I nomi che girano sono diversi: Fabrizio Barca, Gianni Letta, Giuliano Amato. Qualcuno assicura che il più quotato potrebbe essere Mario Monti, forte della credibilità internazionale conquistata negli ultimi mesi a Palazzo Chigi. A queste variabili si aggiunge un’ulteriore difficoltà. Il presidente della Repubblica non potrà sciogliere le Camere: possibilità preclusa dalla Costituzione negli ultimi sei mesi del settennato.
4) Intanto il 15 aprile le Camere, convocate in seduta comune, iniziano a votare il successore di Giorgio Napolitano. Da settimane circolano i nomi più accreditati per salire al Colle. Romano Prodi, Giuliano Amato, Stefano Rodotà. Immancabile il profilo femminile: Emma Bonino, Anna Finocchiaro. Eppure da qualche mese si fa più concreta l’ipotesi di confermare al Colle l’attuale presidente. Il diretto interessato ha più volte negato l’intenzione di restare al suo posto. Ma nel Palazzo il progetto non è stato ancora accantonato (Silvio Berlusconi è l’ultimo leader in ordine di tempo ad aver immaginato questo scenario). In questo caso spetterebbe a Napolitano guidare il Paese fuori dalla difficile fase politica. Per poi dimettersi tra uno o due anni. C’è anche chi è convinto che il presidente possa anticipare i tempi: lasciando il Quirinale prima della fine del mandato. Un addio nelle prossime settimane – nel 1992 Francesco Cossiga si dimise a due mesi dalla scadenza del mandato – per far gestire le consultazioni al nuovo presidente della Repubblica.