Mennea, il riscatto del Sud dove lo Stato non c’era

Duecento metri d'oro

BARLETTA – Quel lancio dell’Ansa che ti conferma la fine di un pezzo di storia italiana: è morto Mennea. Quella “Freccia del Sud” scoccata da un sarto e da una casalinga di Barletta non c’è più. Era nato nel 1952 e allora nel cuore del Barese lo Stato doveva ancora arrivare: c’era solo il mare, non c’erano piste, non c’erano scarpe a misura d’atleta, e gli ostacoli non stavano sugli ovali, ma lungo gli stradoni senz’asfalto. Senza quelli non ci sarebbe stato Pietro, l’uomo dello sport, dei record, poi delle tre lauree e delle istituzioni. Mennea è di fatto un pezzo di storia contemporanea della Puglia, qui viene dopo Domenico Modugno, come lui cresciuto all’ombra dell’Adriatico nella vicina Polignano, e va a braccetto con Aldo Moro, lo statista di Maglie che non a caso gli consiglia di darsi agli studi della scienza politica a Bari, anche se, dopo i suoi record, nei fotogrammi della Regione finiscono i 20mila albanesi a bordo della “Vlora” e poi il fumo nero dell’incendio mafioso del Teatro Petruzzelli.

Nel 1980 era alle Olimpiadi di Mosca, i giochi boicottati dagli statunitensi dopo l’invasione dei sovietici in Afghanistan. Lì, nello stadio Lenin dove ritira la medaglia d’oro, c’è un amico a intervistarlo nei secondi dopo la vittoria. E’ Gustavo Delgado, per più trent’anni storico cronista Rai dalla Puglia. Barese, classe 1932, poi inviato anche ai giochi di Los Angeles, al campionato del Mondo di Spagna e al Giro d’Italia. «Negli anni in cui primeggiava – dice Delgado a Linkiesta – la ‘freccia del Sud’ era per i pugliesi e soprattutto per i barlettani una ventata di orgoglio. Un atleta eccezionale, un uomo generoso, ero un suo amico e oggi lo rimpiango anche per questo. Ricordo proprio quell’intervista, quando lo raggiunsi dovevo fare in fretta, erano già le diciannove e quaranta e dovevo prendere il telegiornale delle venti. Non potevo nemmeno intervistarlo, prima della stampa c’era l’obbligo del doping per i vincitori e avrei perso tempo prezioso, così decisi di violare quella norma. Che successe? Mi misi a correre verso di lui che era ansante, fermo, stava lì per raccogliere gli applausi della folla. Mi inseguì un poliziotto russo che voleva impedirmi di raggiungerlo, gli arrivai vicino e quando vide che avevo messo la mano sul braccio di Mennea allora mi mollò e trascinai Mennea davanti alla postazione televisiva». 

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La tv era passata al segnale a colori da quasi tre anni, gli italiani erano lì che aspettavano il tg per rivedere come era andata alla squadra italiana nella Russia di Breznev. «Avevo circa meno di tre minuti per il servizio che doveva andare in onda dopo un quarto d’ora, lo avevo intervistato tante volte e così gli dissi solo ‘non ti faccio domande, dì tutto quello che vuoi’ e lui si sfogò e disse ‘avete visto chi è Mennea? Avete fatto tante storie per i duecento metri, volevo vincerli, vi ho dimostrato che potevo vincere e lì ho vinti!’». Così, con Delgado accanto, il campione italiano guarda la folla. «Disse ‘guardali, è a loro che dedico la vittoria’, era una fetta di spettatori che non aveva gridato ‘Mennea, Mennea!’ come gli altri, ma ‘Pierino, Pierino!’, erano i suoi amici barlettani che l’avevano seguito fino lì per i duecento. Fu una scena bellissima, in 48 ore quell’intervista andò in onda 27 volte tra radio e tv». E Mennea vince anche il bronzo nella staffetta dei quattrocento. 

Ma se già l’anno prima, a 25 anni, corre i 200 metri piani in 19 secondi e 72 centesimi e diventa l’uomo più veloce del mondo alle Universiadi di Città del Messico, a quindici anni nella sua Barletta scommette di essere più veloce persino dei cavalli di un’Alfa Romeo 1750. Riusciva a batterla sui 50 metri nonostante fosse un po’ lento sui blocchi, e poi andava al cinema. Usain Bolt, l’altro “marziano” venuto dalla Giamaica come il suo rivale Don Quarrie a Mosca, quarantuno anni dopo ripete la scena sfidando una Ferrari 599. Mennea aveva la “capatosta” dei ragazzi pugliesi degli anni Sessanta. «Era un po’ spento – confessa Delgado – non era molto socievole, un po’ chiuso ma fondamentalmente un generoso che aveva voglia di vincere, così ha insegnato il riscatto del Sud, ma non solo in campo sportivo. Rappresentava la nuova ondata dello sport regionale, allora il Bari calcio dava tante delusioni e la città non brillava, la sua stella invece illuminò tutto il resto, ma diciamo la verità, qui ci sono stati altri olimpionici eccezionali penso al barese Pietro Lombardi, che vince a Londra nel ’48 nella lotta greco-romana, anche se la luce che venne fuori dalla vittoria di Mennea era un’altra cosa». 

A Barletta però Mennea deve tutto a due insegnanti di educazione fisica. Alberto Autorino, ai tempi delle medie, è il primo a indirizzare il futuro recordman mondiale verso l’atletica leggera e a farlo seguire dal collega Franco Mascolo che in quegli anni collabora con la società sportiva locale “Avis”, dal nome dell’associazione dei donatori di sangue. E’ il 1965 e la “Freccia del Sud” ha tredici anni. Tutti si allenano in riva al mare, lui inizia nel gruppo dei marciatori. I maestri però si stupiscono subito e notano che ha qualcosa in più nelle gambe: la forza e la resistenza durante le salite sulle mura “a mare”. E così, in via della Marina, il suo destino cambia e passa insieme ai velocisti. Un anno dopo il record del mondo in Messico che gli riuscirà a strappare solo Michael Johnson ad Atlanta nel 1996, Mennea torna proprio nei luoghi dove era cominciato tutto e sulla pista del nuovo stadio comunale “Cosimo Puttilli” (che a lui sarà ora intitolato) segna un altro record sui 200, quel 19″96 che gli durerà per altri tre anni. Un tratto di colore di Sud e Italia forse “finitissimo e al contempo delicato” come quello del pittore Giuseppe De Nittis, l’altro campione mondiale di Barletta.
 

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