Monti, fine mesta: “Non vedo l’ora di essere sollevato”

La nemesi del premier alla Camera, contestato sul caso marò

Prima l’infastidita replica al ministro dimissionario Giulio Maria Terzi. Una serie di riferimenti in perfetto stile Professore, algido e pungente. Poi Mario Monti non si trattiene. E se la prende con gli esponenti del Pdl che continuano a interromperlo. «Questo governo – ammette – non vede l’ora di venire sollevato».

Due immagini di un antipatico pomeriggio a Montecitorio. Due istantanee di un’informativa urgente del presidente del Consiglio, costretto a riferire alla Camera sulla vicenda dei fucilieri di marina detenuti in India, dopo le irrituali dimissioni del suo ministro degli Esteri. E alla fine il Professore perde la pazienza.

Effettivamente non deve essere un momento facile per Mario Monti. Negli ultimi mesi il premier non ha indovinato una mossa. Ha rifiutato il Quirinale inseguendo, senza successo, il sogno della politica. Inchiodato a percentuali imbarazzanti alle elezioni, ha cercato invano di ritagliarsi uno ruolo decisivo nel dibattito parlamentare. Niente da fare. E poi gli scontri interni a Scelta Civica, le polemiche con i montezemoliani. Ora le dimissioni del ministro Terzi che gettano un’ombra sull’esperienza del governo tecnico.

E proprio a Terzi il premier dedica qualche velenoso passaggio nel suo intervento a Montecitorio. «Visto che non ho avuto modo di sentirlo o di vederlo – si lascia andare sarcastico Monti – mi permetto di rivolgere all’ex ministro degli Affari esteri il mio ringraziamento per l’attività svolta nell’ambito del governo».

Dalle frecciate alle accuse. La decisione di trattenere i due marò in Italia? «Si trattava di una decisione in itinere, destinata ad essere rivista alla luce delle auspicate consultazioni bilaterali e che quindi non avrebbe dovuto essere oggetto di precipitose dichiarazioni alla stampa che il ministro Terzi ritenne invece di rilasciare» spiega Monti.

Il titolare della Farnesina non solo avrebbe gestito male la vicenda. Ma al momento di dimettersi si sarebbe lasciato andare anche a una scorrettezza: «Sono rimasto stupefatto per ciò che il ministro ha fatto – prosegue acido Monti – Aver reso note qui le sue dimissioni, senza alcuna informazione preventiva né al Capo dello Stato né al Presidente del Consiglio».

La stilettata finale si concentra sulle presunte aspirazioni politiche del ministro: «Ho ragione di ritenere che l’obiettivo non fosse quello di modificare una decisione, alla quale il ministro aveva consapevolmente partecipato con il suo lavoro, ma fosse quello più esterno di conseguire altri risultati che magari nei prossimi tempi diventeranno più evidenti».

Fino a questo punto la relazione del presidente del Consiglio va avanti incolore. Sobrio, quasi monotono, il premier legge l’informativa senza risparmiare qualche stoccata al suo ex ministro. Poi sui banchi del Pdl il brusio inizia ad aumentare. I deputati berlusconiani non sono molti, ma riescono a interrompere il presidente del Consiglio. L’ex titolare della Difesa Ignazio La Russa è il più rumoroso. Il premier è costretto a fermarsi più volte, fino a quando perde la pazienza.

Senza alzare la voce, il Professore lancia la sfida. «Vedete, questo Governo, lo dico nel modo più rispettoso, non vede l’ora di venire sollevato dall’incarico». I commenti che si alzano dall’emiciclo non sono tutti amichevoli. «Un incarico che nel novembre 2011 non ha sollecitato, come è noto a tutti. È stato il mondo politico che ha ritenuto troppo complicata la situazione per potersela cavare». Riecco le accuse ai partiti, incapaci di portare il Paese fuori dalla crisi. Una critica già avanzata durante i mesi del governo tecnico. Accompagnata, stavolta, dall’amarezza di chi il salto in politica l’ha tentato, senza riuscirci.

«Si è candidato lei, nessuno l’ha obbligata» urla il pidiellino Maurizio Lupi. «Questo è il Parlamento, non è casa sua». Un altro esponente del Pdl giustifica gli sfoghi dei colleghi: «Alla fine anche i moderati si incazzano» grida. Il premier riesce a riprendere il discorso. Manca poco. Ancora poche battute, poi finisce di parlare. «A mai più» gli strilla un deputato berlusconiano. 

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