Il Quirinale segue con attenzione le mosse di Pier Luigi Bersani. Da qualche giorno il presidente Giorgio Napolitano assiste dal Colle alla frenetica attività del premier incaricato: dalle consultazioni ufficiali con i gruppi parlamentari ai contatti informali con gli altri leader politici. Ancora qualche ora di attesa. Quando domani pomeriggio il segretario democrat terminerà i suoi incontri, il capo dello Stato potrà finalmente prendere la sua decisione.
Il premier incaricato si è preso un giorno in più rispetto al programma concordato con il Quirinale. Nessun problema. «Si prenda il tempo necessario» aveva chiarito Napolitano quando una settimana fa ha avviato l’esplorazione di Bersani.
Ora il tempo è quasi scaduto. La strada che porta Bersani a Palazzo Chigi è sempre più stretta, ma ancora percorribile. Certo, l’iniziativa dovrà coinvolgere anche il centrodestra. Stamattina i rappresentanti del Movimento Cinque Stelle hanno confermato in diretta streaming la loro indisponibilità a votare la fiducia. Come se non bastasse il terremoto nel governo – innescato dalle irrituali dimissioni del ministro Terzi – ha finito per ridurre il peso politico della pattuglia montiana di Scelta Civica. Se il governo Bersani nascerà, sarà grazie a un’intesa con Silvio Berlusconi.
Giorgio Napolitano resta in attesa. Domani il Cavaliere è di ritorno a Roma. In serata – è solo una coincidenza? – Bersani presenterà al Quirinale i risultati raggiunti. Nonostante le smentite del segretario, l’accordo con Berlusconi passa anche, soprattutto, dall’indicazione del nuovo presidente della Repubblica. Se l’intesa sarà raggiunta, il premier incaricato potrà presentare al Quirinale i numeri richiesti. I voti di Lega Nord e del gruppo Grandi autonomie e libertà, ad esempio. Che a Palazzo Madama possono modificare gli equilibri a favore di Bersani.
Senza intesa con Berlusconi, il percorso si fa accidentato. Bersani si augura comunque di ottenere un incarico pieno per andare alle Camere. A Palazzo Madama il segretario è ancora convinto di poter convincere in extremis qualche senatore. Magari un gruppetto di grillini. Si punta a una squadra di governo simbolo del rinnovamento, ma anche a un programma che strizzi l’occhio alle istanze del Movimento Cinque Stelle.
Al momento questa strada sembra sbarrata. Napolitano ha già confermato che valuterà solo numeri certi. Quanto è disposto a cedere il capo dello Stato? Non molto, raccontano. E l’assicurazione di alcune uscite strategiche da Palazzo Madama al momento del voto di fiducia, per abbassare il quorum e permettere al governo di raggiungere più agevolmente la maggioranza, non sembra poter bastare. A sinistra si cerca il modo di convincere il presidente. Nessuna pressione ufficiale sul Quirinale, ci mancherebbe. Ne va del galateo istituzionale. «Andrò al Colle senza fare alcun diktat» conferma Bersani. Senza contare che un’invasione delle prerogative del Colle avrebbe come unica conseguenza un irrigidimento del presidente della Repubblica. Eppure negli ultimi giorni si ragiona con insistenza sulla possibilità di dar vita a un governo di minoranza. Si guarda al passato, si cercano precedenti esperienze nella storia repubblicana. Vicende a cui il capo dello Stato – si spera – potrebbe ispirarsi.
E se invece Giorgio Napolitano considerasse il tentativo di Bersani già archiviato? Nel Palazzo qualcuno teme questo scenario. Immaginando le difficoltà del segretario Pd nel trovare una maggioranza in Aula, il Capo dello Stato potrebbe aver già individuato il nome di un premier da incaricare in seconda battuta. A fallimento certificato. L’ipotesi è tutt’altro che campata in aria. Napolitano avrebbe concesso un giro di consultazioni a Bersani per rispettare l’esito delle elezioni. Un preincarico quasi dovuto, ma affidato senza troppa convinzione. Intanto, consapevole dell’impossibilità di trovare una maggioranza politica alle Camere, avrebbe lavorato a un’altra soluzione.
Chi sarebbe il prescelto del Colle? Mistero sul nome. Un presidente super partes, ovviamente. Un’alta figura istituzionale in grado di raccogliere il consenso trasversale in Parlamento – magari la titolare del Viminale Anna Maria Cancellieri – e dare vita a un esecutivo di grande coalizione. Una soluzione che permetterebbe di allontanare lo spettro del voto anticipato. E potrebbe regalare anche qualche sorpresa. «Se Napolitano fa un altro nome – commenta in serata il capogruppo M5S Vito Crimi – è tutta un’altra storia».