Altro che dimissioni. Il presidente Giorgio Napolitano resta al suo posto fino all’ultimo giorno. Se è vero che nella lunga nottata dopo l’ennesimo giro di consultazioni il capo dello Stato ha vagliato anche l’ipotesi di fare un passo indietro, alla fine ha prevalso «il senso dell’interesse nazionale». Il comandante – per ricorrere una metafora fin troppo abusata – non abbandona la nave. Giorgio Napolitano si fa garante del Paese. E lo farà fino alla fine del suo settennato.
Martedì riaprono i mercati, se all’estero qualcuno si è fatto l’idea che l’Italia sia rimasta senza una guida, il capo dello Stato lancia forte il messaggio. Il Quirinale resta in carica, nessuna sede vacante. Il presidente lo ripete più volte nel breve intervento pronunciato al Colle. Ma lo rivela, a bassa voce, anche a chi riesce a fermarlo prima che lasci la sala dove ha incontrato la stampa. «Ci ho molto riflettuto – spiega Napolitano – sono convinto di poter dare ancora un contributo alla soluzione della crisi».
Un ruolo da protagonista. Lo stesso che negli ultimi mesi il presidente non ha mai rifiutato. Qualcuno aveva anticipato la possibilità di un passo indietro, parlando di un gesto di responsabilità suprema. Evidentemente per Napolitano il senso del dovere impone altro. Troppo facile lasciare ora, costretto alle dimissioni dai veti incrociati dei leader politici. Un messaggio rivolto al Paese, ma anche all’estero. Ecco perché Napolitano assicura che «un elemento di concreta certezza nell’attuale situazione del nostro paese è rappresentato dall’operatività del governo tuttora in carica, benché dimissionario e peraltro non sfiduciato dal Parlamento». I partiti non sono in grado di dar vita a un nuovo esecutivo? Si resta con quello che c’è. Almeno per il momento.
Napolitano rimane al suo posto. E non nasconde il fastidio per come la politica ha gestito la fase post elettorale. Gli appelli alla responsabilità che il presidente ha pronunciato durante le ultime consultazioni sono rimasti inattesi. E allora lui «ancora una volta» sottolinea «l’esigenza che da parte di tutti i soggetti politici si esprima piena consapevolezza della gravità e urgenza dei problemi del paese».
Il risultato è imprevisto. Per uscire dallo stallo il presidente propone una soluzione irrituale (ma irrituale è stato anche il secondo giro di consultazioni per verificare il percorso indicato dal premier incaricato). Giorgio Napolitano decide di convocare due gruppi di lavoro in grado di «formulare precise proposte programmatiche che possano divenire in varie forme oggetto di condivisione da parte delle forze politiche». Mistero sui componenti. «Saranno politici?» riesce a chiedere qualcuno mentre il presidente lascia la sala. Napolitano non si scompone: «Aspettate questo pomeriggio, quando saranno pubblicate le liste».
Per ora si sa che le commissioni programmatiche avranno due diversi campi di azione: temi di carattere istituzionale e di carattere economico-sociale ed europeo. E chi ne farà parte rappresenterà diverse competenze e collocazioni politiche. Già martedì dovrebbe avvenire l’insediamento. È un ulteriore commissariamento dei partiti, evidentemente. Ma anche un progetto destinato – nella speranza del presidente – a dare i suoi frutti tra qualche settimana. Quando il nuovo presidente della Repubblica potrà ispirarsi all’operato dei gruppi di lavoro per costruire l’intelaiatura di un governo di larghe intese.
Qualcuno tra gli addetti ai lavori resta interdetto. È una soluzione che in pochi si aspettavano. L’impressione è che si tratti di una delle poche via d’uscita alla palude che si è creata nelle ultime settimane. «Pur essendo ormai assai limitate le mie possibilità di ulteriore iniziativa sul tema della formazione del governo – spiega Napolitano nel comunicato ufficiale – posso fino all’ultimo giorno concorrere almeno a creare condizioni più favorevoli allo scopo di sbloccare una situazione politica irrigidita tra posizioni inconciliabili».