Mascolo è stato il preparatore atletico di Mennea, lo incontra negli anni d’insegnamento al liceo classico “Alfredo Casardi” e lo allena dal 1965 al 1974. Lo segue al meeting internazionale di Lugano nel 1969, al Triangolare di atletica Italia–Bulgaria–Spagna nel 1971 a Cava dei Tirreni, fino alle Olimpiadi di Monaco nel 1972.
«Vorrei solo dire che è stato un esempio di umiltà, semplicità e determinatezza – dice subito l’ex maestro a Linkiesta – è per questo che ha raggiunto grandi risultati. Allora negli anni sessanta si cominciava a fare discorsi di sport per la prima volta, Mennea come altri ragazzi era seguito dall’Avis, una grande società. In quell’ambiente era maturato e grazie a quell’ambiente riuscì a preparare le sue vittorie. Non c’era una pista, ma un velodromo dello stadio Simeone. Dopo due o tre anni mi accorsi che era così veloce e ci impegnammo a seguirlo. Mi ricordo il triangolo di Cava dei Tirreni, lì strabiliò in modo inequivocabile. L’allenamento? Era la sua fatica quotidiana, guai a non allenarsi, era di una grande determinazione e lo faceva pure a Natale, Pasqua e Capodanno».
Smette di allenare Mennea nel 1974, da allora fonda l’Amatori, una delle prime associazioni di atletica leggera femminile d’Italia, oggi aiuta i figli in uno studio assicurativo. Ma che cosa direbbe oggi il maestro del “campionissimo” alle istituzioni sportive? «Oggi – continua Mascolo – le istituzioni siamo noi, e non abbiamo più voglia di seguire questi ragazzi. C’è bisogno di onestà, moralità e onestà intellettuale. Qua la gente va via al Nord, non c’è più l’affetto per la propria terra perché la gioventù non viene più seguita. Abbiamo bisogno di persone adulte che non facciano le solite e inutili discussioni politiche».
Allora negli anni Sessanta lo sport sembrava altra cosa. «C’era una volontà di stare insieme e allenarsi, come Mennea c’era un centinaio di ragazzi, la sport allora era anche formazione seria, l’Avis organizzava gite e donazioni di sangue e nessuno voleva tutto e subito».
La città è sotto choc. «La gente mi ferma e mi chiede se è possibile che sia morto, speriamo che sia ricordato come un grande campione e grande uomo. L’ultima volta? L’ho sentito a novembre, ma ai suoi amici intimi non ha mai detto nulla del suo problema».