I Letta: ritratto d’interno di un magnifico clan

I volti del potere. Riservati e schivi come carattere genetico

Che famiglia, i Letta. Ogni tanto sfogli un giornale, osservi un cartellone cinematografico, ti trovi tra le mani una rivista, studi la bibliografia del manuale di storia di tuo figlio (per chi ne ha) ed ecco che sotto il naso ne spunta uno, un Letta, e anche questo è in gamba, e anche questo ha avuto successo, ma in un settore tutto diverso, in un altro mondo, e nel suo lavoro non ha niente a che fare con gli altri suoi fratelli, e zii, e sorelle, e nipoti, e importantissimi cugini Letta. E forse c’è un Letta dietro ogni eccellenza italiana.

Gianni ed Enrico li conoscono tutti, sono lo zio e il nipote d’Italia, uno è appena diventato presidente del Consiglio, l’altro è l’ultimo dei grand commis dell’état, il giovane è di sinistra e ha fondato il Pd, il vecchio è il gran visir del berlusconismo. Militano, ma senza orgogli luciferini, nelle curve contrapposte dello stadio politico, sono molto diversi tra loro, eppure, entrambi incarnano a modo loro quelle caratteristiche che nei codici italiani del potere sono considerate le virtù lettiane: attitudine antiretorica, riservatezza, idiosincrasia per la ribalta, per i riflettori, per le vuote parole. Gianni ha i suoi uffici su largo del Nazzareno, dietro Piazza di Spagna, Enrico ha la sua stanza al partito ad appena cento metri dallo zio: talvolta si incrociano per strada, ma sono così riservati che rallentano appena il passo, si scambiano un occhiata, un sorriso – moderato – e tirano avanti, ciascuno verso i propri impegni, uno a destra l’altro a sinistra.

Quando venne a mancare la mamma di Gianni, questo, per capirsi, fu il necrologio di famiglia: «Gli otto figli la ricordano con amore e profonda gratitudine, ma anche con quella discrezione che lei ha sempre praticato e insegnato. Avrebbe preferito il silenzio, con l’annuncio dopo l’ultimo commiato». I Letta sono la prova vivente che non è vero quel motto popolare che recita così: il gatto con i guanti non acchiappa topi. Per tutta la vita hanno acchiappato topi con i guanti. Gianni è stato il Richelieu di Berlusconi, Enrico è stato il Mazzarino di Prodi e certo, i paragoni sono piuttosto impegnativi, ma rendono l’idea. E’ a casa di Enrico a Testaccio che si è trovato l’accordo per tentare di eleggere Franco Marini al Quirinale, ed è a casa di Gianni alla Camilluccia che molti anni fa Berlusconi è riuscito a rendersi simpatico anche al nemico Eugenio Scalfari. Enrico è al governo perché è fedele, cordiale, intelligente, sobrio, grande mediatore e piace persino a destra; mentre Gianni è stato al governo perché è fedele, cordiale, intelligente, sobrio, grande mediatore e piace persino a sinistra.

Ma gli altri Letta? Nessuno fa politica, per lo più sono silenziosi, operosi, preferiscono i libri, lo studio, la pace della provincia. Ma nessuno di loro passa davvero inosservato. C’è Giampaolo, il felpatissimo cugino più grande di Enrico, il più scintillante, che di mestiere fa l’amministratore delegato della Medusa film, produce, co-produce, distribuisce, gestisce sale. Controlla il 17 per cento del mercato cinematografico.

Poi c’è Giorgio, fratello di Gianni e padre di Enrico, l’uomo schivo che è apparso in qualche timido frammento televisivo negli ultimi giorni di fronte alla villetta borghese nella quale vive con la famiglia a Colignola in provincia di Pisa. È un accademico dei Lincei, niente di meno. Matematico, professore universitario di una materia che fa tremare le vene ai polsi: calcolo delle probabilità.

C’è poi un Letta avvocato e dirigente di Assitalia a Milano, Luigi. Ma la stella di famiglia, per tacere della zia Maria Teresa, ex professoressa di francese al liceo e vicepresidente della Crocerossa italiana, è Cesare Letta. Ex allievo della Normale, è uno degli archeologi più celebrati della sua generazione, professore di storia romana, direttore della rivista di Studi classici e orientali dell’Università di Pisa, con un curriculum accademico che fa paura. Cesare Letta di recente è stato intervistato alla radio da Claudio Sabelli Fioretti, e malgrado sia un uomo di poche parole è forse anche l’unico della famiglia a non spiccare nelle doti diplomatiche: «Non invidio Enrico, ha una gatta da pelare grossa come una montagna». Quanto durerà il suo esecutivo? “Gli auguro di durare almeno un anno”.

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