Una coalizione granitica, a prova di bomba. Il centrosinistra guidato da Pier Luigi Bersani non era una semplice alleanza di partiti e movimenti. Rappresentava il sinonimo stesso dell’unità politica (non dell’unione, dati i precedenti di prodiana memoria). A dimostrazione inequivocabile dell’indissolubilità del legame, la scorsa estate i partiti d’area avevano persino firmato una Carta d’Intenti. Un impegno solenne: “Il patto dei democratici e dei progressisti”. A rileggere oggi quel documento viene quasi da sorridere.
Per la compagine bersaniana sarebbe difficile immaginare un epilogo più catastrofico. «L’Italia ha bisogno di un governo e di una maggioranza stabili e coesi» così nel documento. Eppure la maggioranza Sel-Pd-Socialisti non ha retto neppure l’elezione del presidente della Repubblica. Di fronte a una delle prime prove parlamentari, il gruppo si è dissolto. Le candidature di Franco Marini, prima, e di Romano Prodi, sono bastate per disintegrare il centrosinistra. Con buona pace di quel severo giuramento: «L’imperativo che democratici e progressisti hanno di fronte – prosegue la lettura – è quello dell’affidabilità e della responsabilità».
Alle 16 di questo pomeriggio la direzione del Nazareno proverà a fare un po’ di chiarezza nel partito. Difficile dimenticare i 100 traditori che hanno impallinato nel segreto dell’urna il candidato scelto da Bersani. All’ordine del giorno restano le accuse tra i dirigenti, le dimissioni del segretario sull’orlo di una crisi di nervi, la guerra tra bande nel partito. Una settimana di incredibili vicende parlamentari lascia in eredità un Pd lacerato tra chi vorrebbe tornare al voto, chi punta su Matteo Renzi, chi ha deciso di seguire le indicazioni di Napolitano.
Nel frattempo l’inossidabile asse con Sel si è già spaccato. Di fronte all’ipotesi di un governo di larghe intese Nichi Vendola ha deciso di posizionarsi all’opposizione (tra pochi giorni un grande appuntamento a Roma dovrebbe celebrare la nascita della nuova formazione politica). Ognuno per la sua strada. Stando alle indiscrezioni del Corriere persino i socialisti di Riccardo Nencini sono pronti a dar vita a una nuova realtà, assieme ai Radicali.
Alla rapida diaspora del centrosinistra si contrappone il solenne impegno della Carta d’Intenti sottoscritta pochi mesi fa. «Nel momento stesso in cui chiamiamo a stringere un patto di governo movimenti, associazioni, liste civiche, singole personalità e cittadini che condividono le linee di questo progetto, vogliamo assumere insieme, dinanzi al Paese, alcuni impegni espliciti e vincolanti». I firmatari di quel patto avevano persino immaginato un sistema per garantire l’unità della coalizione. Si legge nell’ultimo capitolo del patto, ironicamente intitolato “Responsabilità”. «Vincolare la risoluzione di (…) provvedimenti rilevanti a una votazione a maggioranza qualificata dei gruppi parlamentari convocati in seduta congiunta». E meno male.