Trovare un’intesa sul nuovo governo non sarà facile. Questo lo sapeva anche il premier incaricato Enrico Letta. Ma forse una strada così in salita non l’aveva immaginata neppure lui. Neanche il tempo di lasciare il Quirinale, avviare gli incontri con i presidenti di Camera e Senato, e in Parlamento sono cominciati i primi distinguo. Le consultazioni del vicesegretario Pd si terranno domani (nella sala del Cavaliere di Montecitorio che già aveva ospitato gli incontri del presidente incaricato Bersani, segno che a Largo del Nazareno non sono scaramantici). Intanto tra i principali partiti si susseguono prese di distanza, veti e controveti.
Passi per il fronte dei contrari al nuovo esecutivo. Era inevitabile che una fetta del Parlamento si opponesse al governo di larghe intese chiesto dal Quirinale. E così hanno già assicurato che saranno all’opposizione Sinistra Ecologia e Libertà di Nichi Vendola, il Movimento Cinque Stelle, gli ex berlusconiani di Fratelli d’Italia. Con ogni probabilità sarà fuori dalla maggioranza anche la Lega Nord. Nonostante il mancato incarico a Giuliano Amato – il veto del Carroccio riguardava l’ex premier – Maroni sembra intenzionato a non sostenere l’esecutivo. Si attende l’incontro con Letta, oggi, per sciogliere ogni riserva. Ma sembra che ormai neppure l’offerta di un ministero possa convincere i leghisti.
Più preoccupante è il malessere di chi il governo dovrebbe sostenerlo. Nel Partito democratico qualcuno ha già manifestato i primi disagi. Per ora sono voci sparse, forse isolate. Da Pippo Civati al prodiano Sandro Gozi. Ma è inutile negare che una parte dei democrat guarda con preoccupazione la nascita di un governissimo con il Pdl. Secondo alcune indiscrezioni giornalistiche persino i “giovani turchi” sarebbero in attesa di capire l’esito delle consultazioni. Ben disposti a rinunciare a qualsiasi ruolo nel prossimo governo per potersi garantire la libertà, in caso, di dissociarsene. Del resto da una parte all’altra dell’emiciclo non sembra che le poltrone della squadra di Letta siano particolarmente ambite.
Chissà cosa ne pensa Giorgio Napolitano. Ieri mattina il presidente della Repubblica, ricordando che «il successo di questo governo è indispensabile perché alternative non ce ne sono», ha rivolto un ulteriore appello ai partiti. Chiedendo che «si affermi un clima di massimo rispetto reciproco tra forze politiche impegnate a collaborare». L’ennesimo monito alla politica.
E poi c’è il Popolo della Libertà. Domani Silvio Berlusconi non parteciperà alle consultazioni. Il Cavaliere è negli Stati Uniti, dove si tratterrà per alcuni giorni. A rappresentare i dubbi del partito è la nota ufficiale del segretario Angelino Alfano (lo stesso che nelle intenzioni della vigilia avrebbe dovuto affiancare Enrico Letta nel ruolo subalterno di vicepremier). «Abbiamo la netta impressione che il Pd un governo forte non voglia farlo, ma non possa dirlo» tuona Alfano. A via dell’Umiltà si teme che i democratici possano spaccarsi ancora, stavolta sul sostegno all’esecutivo. Lasciando il Pdl con il cerino in mano. «Prima ancora di sapere chi sia il presidente incaricato, è bene chiarire al Pd che per noi non ci sarà un nuovo caso Marini, non daremo il sostegno a uno di loro cui loro non daranno un sostegno reale, visibile, con nomi che rendano evidente questo sostegno e con un programma fiscale chiarissimo ed inequivocabile».
Ufficialmente nessuno ha ancora avanzato candidature per la squadra di governo. «Il totoministri ora impazzerà con i nomi più improbabili» scherzava Enrico Letta al Quirinale. In realtà il primo terreno di scontro è proprio quello delle poltrone dell’esecutivo. Al Pdl non bastano tecnici d’area. I berlusconiani chiedono solo ministri “politici”. Ai profili che già circolavano in questi giorni (Gaetano Quagliariello su tutti) in queste ore si è aggiunto il capogruppo alla Camera Renato Brunetta. Uno dei falchi pidiellini. Nel Pd invece si punta su personalità legate al partito, magari non troppo. E così ecco spuntare i curriculum di Sergio Chiamparino, Graziano Delrio. Magari qualcuno dei dieci saggi chiamati a fine marzo da Napolitano.
Una trattativa fatta di veti e controveti che non risparmia neppure il programma di governo. Il Pdl non intende rinunciare alla cancellazione dell’Imu sulla prima casa con relativo rimborso dell’ultima rata (iniziativa lungamente sbandierata da Silvio Berlusconi in campagna elettorale). Una posizione che rischia di mettere in difficoltà il futuro, eventuale, governo Letta. Del resto nel Pd sono in molti a credere che l’esecutivo al «servizio del Paese» (copyright Letta) non possa prescindere da alcuni dei punti individuati da Pier Luigi Bersani dopo le elezioni. Al premier incaricato il difficile compito di trovare l’accordo. «Io ci proverò con umiltà e senso dei miei limiti, ma anche con determinazione» ha spiegato questa mattina Letta dopo aver incontrato il presidente Napolitano. Eppure «questo governo non nascerà a tutti i costi. Ma solo se ci saranno le condizioni».