Ancora tre giorni. I parlamentari che aspirano a far parte dell’esecutivo di Enrico Letta hanno tempo fino a venerdì per provare a convincere il premier. Prima del fine settimana, al ritorno dalla breve visita istituzionale in Europa, il capo del governo convocherà un Consiglio dei ministri. In quell’occasione saranno assegnate le deleghe ai titolari dei dicasteri. E, passaggio politicamente più complesso, sarà nominata la squadra di viceministri e sottosegretari. Una cinquantina di posti in tutto. Poltrone di seconda classe, certo. Ma pur sempre poltrone.
E così a Montecitorio è già partita la caccia all’incarico. In Transatlantico si ragiona su candidature e caselle da riempire. Almeno 20-25 sottosegretari dovrebbero venire dal Partito democratico, che rivendica la maggioranza dei parlamentari alla Camera. Qualcuno di meno al Pdl. Il resto ai montiani di Scelta Civica. Partiti in fibrillazione, carriere al bivio. Anche per questo in attesa del Consiglio dei ministri il Pd ha posticipato l’assemblea nazionale, in programma per sabato.
I criteri per entrare al governo sono tanti. Sicuramente ci dovrà essere una compensazione politica della partita ministeriale. Ai dicasteri in mano a un berlusconiano saranno inviati esponenti del Pd, e viceversa. Una sorta di bilanciamento interno nel nuovo governo delle larghe intese. Partito per partito si ragiona su come valorizzare le correnti finora ignorate. Nel Pd ad esempio qualche poltrona spetterà agli uomini vicini a Beppe Fioroni e Rosi Bindi. «Se vorranno far parte del governo, un posto per loro è assicurato» raccontano i parlamentari più vicini a Letta. Ma non ci sono solo spartizioni di corrente. A fare pressione sono anche gruppi territoriali. Veneti, lombardi… Lobby improvvisate che puntano a questo o quel dicastero.
Nel Pdl la partita si complica. Ai posti di governo si aggiunge la vicepresidenza della Camera. Maurizio Lupi, neo titolare delle Infrastrutture, si è dimesso ieri. In pole position per sostituirlo sembra esserci una donna. La prescelta sarebbe Mara Carfagna, così almeno si racconta in Transatlantico. Se non sarà lei, ecco spuntare Daniela Santanchè. Le variabili aumentano. Nella gara per i sottosegretari dovranno essere inseriti alcuni ex An, altrimenti fuori dall’esecutivo. Dentro Scelta Civica il confronto è aperto. Gli esponenti di Italia Futura chiedono spazio, un posto dovrebbe essere assicurato ad Andrea Romano. Ma nel partito del Professor Monti è scontro. Ieri una lunga riunione dei gruppi parlamentari non è servita a fare chiarezza. Le autocandidature si moltiplicano, specie tra chi è a digiuno di rilevanti esperienze politiche. Secondo questa logica un posto potrebbe andare ad Aldo Di Biagio, uno dei pochissimi sopravvissuti dell’esperienza di Futuro e Libertà. Magari alla Farnesina, per lui eletto con oltre 50mila preferenze nella circoscrizione estero.
Pd, Pdl, Scelta Civica. Il toto-poltrona impazza. Si ragiona per numero e rilevanza di incarichi. Non sfugge a nessuno che i viceministri all’Economia avranno un’importanza strategica nel nuovo esecutivo. I nomi che girano sono tanti. Per il dicastero di via XX settembre c’è chi indica Luigi Casero, Giovanni Legnini, chi Alberto Giorgetti e Pierpaolo Baretta. Un posto dovrebbe spettare al democrat Stefano Fassina, magari al Lavoro. Il renziano Ermete Realacci era dato per probabile ministro all’Ambiente. È ancora in corsa per l’ex ministero di Corrado Clini? Il berlusconiano Enrico Costa o la Pd Donatella Ferranti potrebbero affiancare Anna Maria Cancellieri alla Giustizia. E poi Emanuele Fiano agli Interni, Lapo Pistelli agli Esteri.
Qui si apre un altro problema nella difficile partita a scacchi governativa. Nell’esecutivo Letta quanti posti ci sono per gli ex ministri? In realtà alcuni di loro avrebbero deciso autonomamente di non accettare un ruolo da sottosegretario. Poco disposti a veder ridimensionato il proprio impegno in politica. È il caso di Giancarlo Galan, che avrebbe già rinunciato. Sugli altri ci sarebbe il veto dello stesso premier. Ma anche per loro non tutto è perduto. Le nomine governative si intrecciano con un’altra infornata di poltrone. Le presidenze delle commissioni. Martedì a Montecitorio si eleggeranno i presidenti delle quattordici assemblee permanenti (al Senato sono altre quattordici). Per chi punta a un incarico è l’ultima occasione. Anche qui alcuni nomi ricorrono più frequentemente di altri. Il lettiano Francesco Boccia sembra quasi certo di guidare la commissione Bilancio. Dalla prossima settimana, sistemate le ultime caselle e soddisfatte le ultime ambizioni personali, i lavori della legislatura potranno finalmente iniziare.