Daniel Gros è il direttore dell’ “Centre for European Policy Studies” di Bruxelles, uno dei maggiori think-tank economici mondiali, sostenuto anche da istituzioni dell’Ue. Da alcune settimane, Gros sta partecipando a un acceso dibattito su “Project-Syndicate”, il sito di opinione finanziato dall’” Open Society Foundations” di George Soros. In polemica con Soros stesso, Gros sostiene che non esista alcuna alternativa all’austerity per salvare i paesi europei in difficoltà. Linkiesta lo ha incontrato a Monaco di Baviera in occasione del “Munich Economic Summit”, un simposio economico in cui esperti da tutta Europa si sono dati appuntamento per discutere del futuro della moneta unica. Daniel Gros è un profondo conoscitore del nostro paese, avendo conseguito la sua laurea in Economia e Commercio all’università di Roma La Sapienza.
L’austerity è vissuta con difficoltà dall’elettorato del Sud Europa, e ci sono molte preoccupazioni in merito alla domanda interna, che sta calando. Come mai si spinge per questa soluzione?
Ogni paese decide se fare le riforme o meno. Se non le introduce la produttività non migliora, così la domanda non si riprende. Altrimenti, non si fanno le riforme, il paese rimane in stagnazione e con i consumi bassi – ma la gente può essere soddisfatta lo stesso. Se però vogliono qualcosa in più, devono fare le cose diversamente. Abbiamo visto paesi in declino relativo per decenni, senza una vera crisi. Si prenda il caso del Giappone: se gli standard di vita non calano troppo, la gente può continuare con lo stesso sistema per un decennio.
Quindi se l’Italia non si riforma, attraverserà un lungo periodo di stagnazione come il Giappone?
Sicuramente a un livello più basso, perché il Giappone è un po’ più efficiente [ride]. Inoltre, il Giappone non è così sotto attacco da parte delle esportazioni cinesi. È possibile che se l’Italia non fa nulla, non riesca neanche a rimanere stabile, perché continuerebbe a perdere esportazioni a causa della competitività cinese e asiatica. L’Italia deve riformare anche per rimanere in stagnazione.
Come riformerebbe l’Italia nei prossimi cinque anni?
Impossibile. Non c’è possibilità di introdurre le riforme di cui c’è bisogno anche in cinque anni. Sono necessari almeno dieci anni. Il deterioramento che ha preso piede in Italia non dipende solo da qualche legge o regolamento, ma nella struttura della società e dell’apparato politico. Lo si legge nelle statistiche sulla corruzione, sulla legalità e altri indicatori.
Ma non pensa che le riforme in una condizione di austerity possano essere bloccate dal populismo?
Penso che il populismo non sia una reazione alle riforme, ma alla mancanza di riforme. Senza riforme lo standard di vita cala, così la gente è insoddisfatta, e cercano vie d’uscite facili. Anche se l’Italia tornasse alla lira, l’Italia dovrebbe risolvere i propri problemi strutturali. Anche con la possibilità di svalutare, l’Italia non sarebbe di certo più ricca.
Quindi non è “colpa dell’euro”.
In alcuni casi è utile avere la possibilità di svalutare per superare crisi temporanee, ma anche prima ell’euro l’Italia è cresciuta poco nei periodi di boom, e ha attraversato crisi più severe della media durante le recessioni. Adesso al posto della crisi dell’euro avremmo avuto la crisi della lira. La lira avrebbe reso gli italiani più ricchi? Avrebbe consentito loro d’importare di più? Non penso.
Ma è possibile introdurre le riforme senza la possibilità di deficit di bilancio? L’esempio tedesco del 2004 sembra dimostrare che sia necessario deficit spending: quando l’SPD di Schröder riformava, per anni non ha rispettato i parametri di Maastricht.
[ride] L’Italia è incorsa in deficit di bilancio per decenni e non si è mai riformata. In realtà l’unico periodo in cui sono state fatte riforme è stato quando c’era austerity per tentare di entrare nell’euro.
La percezione di molti in Italia è però che non esista un accordo del tipo: la Germania accetta la possibilità di deficit spending per stimolare la domanda, e “in cambio” il Sud Europa introduce le riforme. Per questo mancherebbe anche fiducia nel piano di salvataggio.
Non è la Germania che decide nulla: sono i mercati i quali ritengono che, siccome l’Italia non cresce, non riceve prestiti. E con i mercati non si negozia: non si può dire loro “datemi un po’ di soldi e io riformo”. Non ci sono altre soluzioni: solo un programma molto duro di austerity, che renderà la crisi ancora più acuta nel breve termine, potrà portare a un cambiamento sistemico. Così, nel lungo periodo l’Italia potrà trovarsi in una situazione migliore, perché saranno state distrutte alcune delle vecchie strutture che stanno bloccando il paese.
E se lei fosse il premier italiano, cosa farebbe nei primi tre mesi?
Probabilmente nulla in termini di nuove leggi o regolamentazioni. Preparerei solo un programma di tagli di budget. Ma per ora, tutti vogliono evitare scelte difficili, e per questo sono pessimista sulle possibilità di sviluppo dell’Italia nel medio-lungo termine. Se nessuno vuole rinunciare a nulla, tutti diventeranno poveri.