L’ultimo arrivato a palazzo Chigi è il Pd Maurizio Martina. Avrà un suo ufficio, «come Luigi Bisignani» scherza un democratico lombardo che non ha visto di buon occhio la nomina. Il segretario regionale lombardo del Partito democratico è diventato sottosegretario all’Agricoltura con delega all’Expo 2015, lasciando l’amaro in bocca a molti in via del Nazareno.
Non solo ad alcuni lombardi, che addossano la responsabilità della sconfitta di Umberto Ambrosoli in alle regionali lombarde proprio a Martina, ma pure ai piemontesi che non sono nemmeno rappresentati nell’esecutivo. «L’ha voluto Bersani» taglia corto un altro piddino di rango, facendo intendere che la compagine governativa non va solo guardata attraverso il filtro delle larghe intese con il Popolo della Libertà e Scelta Civia, ma pure per gli schemi che sorreggono il Pd.
E l’ipotesi di fondo è questa. Si sta creando un asse tra Enrico Letta, Dario Franceschini e l’ex segretario Pier Luigi Bersani per arginare le mire espansionistiche del rottamatore dei Firenze Matteo Renzi. Del resto, Letta è il premier. Suo il governo, sua la linea politica (e suo anche il difficile compito di trovare una linea comune con i berlusconiani del Pdl).
Anche per questo la delegazione lettiana a Palazzo Chigi è stata limitata. Erano in predicato di entrare al governo, magari con una poltrona da sottosegretario, i parlamentari più vicini al premier. Paola De Micheli, Francesco Sanna, Alessia Mosca, Francesco Boccia, Marco Meloni. A tutti il presidente del Consiglio ha chiesto un passo indietro.
Ben rappresentata, invece, è la corrente franceschiniana. Da Dario Franceschini, soprattutto. Neo ministro per i Rapporti con il Parlamento. È stato lui l’ambasciatore democrat nella trattativa con il coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini per la formazione della squadra di governo e la nomina dei sottosegretari. Vicino all’ex segretario Pd sono il viceministro agli Esteri Lapo Pistelli. Ma anche il sottosegretario all’Economia Pierpaolo Baretta.
E poi i bersaniani. Ci sono Andrea Orlando e Stefano Fassina. Rispettivamente ministro dell’Ambiente e viceministro all’Economia, entrambi giovani turchi. Due delle poche figure politiche di primo piano nella compagine governativa. E poi c’è Martina, gli occhi di Bersani sul governo Letta. Ma bersaniani sono il sottosegretario alla Giustizia Giuseppe Berretta e il viceministro al Lavoro Maria Cecilia Guerra. Nello stesso dicastero che è stato di Elsa Fornero, c’è il sottosegretario Carlo Dell’Aringa, anche lui vicino a Bersani che lo ha voluto candidare alle ultime Politiche.
Renzi è chiaramente sottostimato, a parte il ministero agli Affari Regionali di Graziano Delrio.Escluso dall’asse Pd Bersani-Letta-Franceschini. Ma forse non troppo ansioso di legarsi a questo esecutivo. Al governo il sindaco di Firenze può contare su tre nomi. Il magistrato Domenico Manzione, sottosegretario agli Interni e fratello del capo dei vigili di Palazzo Vecchio. Il giornalista Erasmo D’Angelis, presidente di Publiacqua Toscana. E la responsabile dei rapporti istituzionali di Autostrade, Simonetta Giordani, sottosegretario ai Beni e Attività Culturali. Nessun politico. Il braccio destro delle primarie Roberto Reggi, anch’egli certo di un posto al governo, alla fine è stato escluso.
L’impressione insomma, è che in questa difficile fase per i democratici, in via del Nazareno la vecchia reggenza abbia provato a ridare slancio alle varie correnti in un’ottica anti Renzi. Non solo. Da un po’ di giorni Bersani e Massimo D’Alema non si parlano più. Del resto, ricorda un piddino, proprio l’ex ministro degli Esteri fu il primo durante la prima direzione nazionale del Pd a ricordare ai suoi che non c’era stata una «vittoria» alle ultime elezioni. A questo si sono aggiunte le critiche per il modo in cui Bersani ha condotto le trattative con il Movimento Cinque stelle di Beppe Grillo, per venire poi smentito due mesi dopo.
Per evitare la conta la scelta ricadrà probabilmente su una figura di “traghettatore”. C’è chi fa il nome qualcuno fa il nome dell’ex presidente della giunta per le autorizzazioni della Camera Pierluigi Castagnetti o quella dell’ex presidente della Camera Luciano Violante ma anche della ex capogruppo al Senato, Anna Finocchiaro o ancora quello di Vannino Chiti. Ma l’ipotesi Guglielmo Epifani non è ancora naufragata, anzi sembra goda dell’appoggia sia di tutti. Meno di quello di Renzi.