E’ tutto il giorno che in rete monta il polverone intorno a Laura Boldrini. Casus belli è una conversazione con il presidente della Camera pubblicata stamattina da Repubblica e soprattutto il titolo malandrino – «Laura Boldrini: no all’anarchia in rete» – assegnato dal quotidiano romano all’intervista in questione. Tanto è bastato per riattizzare la polemica e le opposte tifoserie, divise e radicalizzate tra chi accusa il potere costituito e le istituzioni di voler mettere la mordacchia, più o meno strisciante, più o meno apertamente, alla mitica Rete, e chi, invece, dall’altra sponda, immagina che il web sia ormai diventato un pericoloso vomitatoio di pensieri in libertà, un moderno tazebao dove ogni secondo vengono affissi post demenziali se non addirittura criminogeni. Le ultime prove provate? Sarebbero il racconto in presa diretta degli spari davanti a palazzo Chigi di domenica e, più in generale, i resoconti day by day dell’epopea grillina, infarciti spesso e volentieri di pensieri ossessivi, trasgressivi se non apertamente sgrammaticati e pericolosi.
In realtà, a voler sminare il campo e ragionare, le cose sono un po’ diverse, il bianco e nero delle ideologie non esiste nemmeno in rete, anche se l’onda sui social da stamattina ha preso una direzione tutta sua, montando un vespaio che ha via via risucchiato nel dibattitto il dirimpettaio di Boldrini al Senato, Pietro Grasso, fino al giurista ormai per antonomasia Stefano Rodotà.
Provo a fare un po’ d’ordine. Boldrini quella frase sull’anarchia del web non l’ha mai pronunciata bensì è una semplificazione/approssimazione del titolista di Rep. Boldrini, piuttosto, nella conversazione con Concita de Gregorio si pone il problema di quali regole applicare in rete, ormai uno spazio virtuale ma reale a tutti gli effetti. Se ne servano ad hoc o se debbano valere per estensione quelle che si applicano già all’informazione pubblicata ogni giorno sulla carta stampata, in termini di calunnia, diffamazione, falsa informazione, veridicità delle fonti e via elencando. E ancora, anche se non lo dice espressamente, lo aggiungiamo noi: se esista o meno una qualche responsabilità se su un blog molto trafficato (ad esempio quello di Grillo), compaiono post pesantemente antisemiti, com’è successo qualche settimana fa.
Ognuno avrà legittimamente una sua idea sui temi in questione, dunque si parli di questo. Stiamo sul punto. E’ un discorso utile e decisivo. Invece è partita una ridda incontrollabile in cui si stanno scomodando concetti generali e astratti, slogan sinuosi ma vuoti come “l’anarchia sulla rete”, “leggi liberticide”, “repressione”, “leggi speciali” che, come spesso accade, nascondono solo l’impossibilità di riflettere e dibattere seriamente su problemi e frontiere che sono tremendamente reali. Questo è un classico italiano che la viralità della rete amplifica e fagocita: buttarla sui massimi sistemi per non affrontare mai il caso concreto. Strepitare e dividersi facendo prevalere il formalismo ideologico sull’empirismo delle singole scelte qui e ora. In una parola: buttiamola in vacca e non pensiamoci più.
Con un particolare alquanto curioso. Come già detto, il tormentone su Boldrini nasce da un titolo sbagliato di un grande giornale di carta che da molte ore sta dando il ritmo ad ogni tipo di pulsione web, per giunta nel giorno in cui nel mondo si celebra la giornata mondiale della libertà di stampa. Anche in Italia lo si è giustamente celebrato, facendo speciali, pubblicando classifiche accompagnate dall’immancabile, lugubre, spoon river dei giornalisti morti durante l’ultimo anni in giro per il mondo. Tutte cose giuste e sacrosante anche se la ritualità dell’appuntamento somiglia sempre più a quelle relazioni, un po’ fredde e burocratiche, in cui i presidenti di tribunale comunicano le cifre dell’anno giudiziario: abbiamo fatti tot processi, abbiamo arrestato tot persone, abbiamo avviato tot procedimenti. Puro sindacalismo della libertà di informazione che rischia di monumentalizzare la pianta fragile di questo mestiere, quando si prova, senza pompa, senza retoriche, nel giorno per giorno, a farlo al meglio. Pur nei limiti e nelle contraddizioni tipici di ogni professione.
Per questo, tanto più nella giornata mondiale della libertà di stampa, oltre che scandalizzarsi per l’ossessività della rete, piangere giustamente i nostri morti o denunciare i tanti bavagli, bisognerebbe lasciare uno spazio aperto anche ai nostri errori. Facendo un filo di autocritica: «dalla pornografia del dolore ai giudizi affrettati» (copyright Costanza Rizzacasa D’Orsogna) fino, appunto, alla superficialità di titoli che magari attribuiscono frasi non vere ad un determinato personaggio. In questo caso Boldrini. Contribuendo ad alimentare dibattiti sbagliati su temi invece attualissimi.