Avenida BrasilBrasile, basteranno i mondiali per tornare a crescere?

Brasile, basteranno i mondiali per tornare a crescere?

Se da un lato la perdurante crisi di molti paesi europei, Italia in primis, continua a tenere viva l’attenzione sui Bric e sulle loro ben più vivaci dinamiche, è ormai risaputo che anche tra quei paesi i differenziali di crescita sono marcati e in aumento. Ciò è vero sia se si osservano i dati 2012, sia se si prende in esame la media dell’ultimo decennio.

In particolare, il Brasile cresce in misura significativamente minore rispetto a Cina e India (si veda la tabella 1, dove per comparazione sono stati inseriti anche i dati di Stati Uniti, Germania e Italia). Questi dati sono senz’altro espressivi, tuttavia non forniscono un quadro esauriente della situazione.

Tabella 1 – Tasso annuo di crescita del Pil

Il Brasile cresce sì meno di altri Bric ma può contare su una base di partenza significativamente migliore (il Pil pro capite nel 2011 era oltre il doppio di quello cinese, oltre otto volte quello indiano), ed è saldamente in testa per quanto riguarda tutti gli indicatori di sviluppo umano – riduzione della povertà e della disuguaglianza, miglioramento degli standard di vita (salute e istruzione in primis), obiettivi di sostenibilità ambientale – comunemente indicati come Obiettivi di Sviluppo del Millennio, fissati dall’Onu nel 2000 (consulta il Report 2012 qui).

Tabella 2 – Pil pro capite in dollari USA

E tuttavia la brusca frenata registratasi nel 2012, l’incertezza sul futuro – benché le proiezioni indichino un ritorno a tassi del 3-4% – hanno suscitato un vivace dibattito interno.

Tabella 3 – Crescita annua Pil

Non va dimenticato del resto che il Brasile è, sotto il profilo politico ed economico, il paese più simile ai paesi occidentali più avanzati, e se è vero che l’India è la più grande democrazia del mondo, è altrettanto vero che l’80% dei suoi cittadini sono troppo poveri, o troppo poco istruiti per partecipare effettivamente ai processi decisionali interni.

E così, in una franca dialettica governo-opposizione, i gestori della politica economica brasiliana (Banca centrale e Ministro da Fazenda) sono inclini ad additare la situazione internazionale come responsabile del rallentamento dell’economia. I critici sottolineano invece come la performance deludente dell’economia brasiliana abbia cause domestiche, non ultima un’errata diagnosi proprio delle cause della decelerazione, che ha portato a scegliere contromisure sbagliate, quali diminuzione dei tassi di interesse, incentivi al credito al consumo e incremento degli investimenti pubblici per sostenere la domanda interna.

In effetti, la realtà attuale è ben diversa da quanto si osservava nella congiuntura 2008-2009, quando ad un rallentamento della domanda esterna (causata dalla grande crisi finanziaria avviata con il fallimento di Lehman Brothers) corrispondeva una situazione di sottoutilizzazione delle risorse produttive. Oggi, al contrario, il paese vive una situazione di piena occupazione (5,5% la disoccupazione media del 2012, il minimo storico, ha annunciato l’IBGE a gennaio), che arriva a punte critiche nelle zone urbane del sudest, quelle a più alta intensità di investimento, dove la carenza di manodopera inizia a costituire un problema. Lo stesso vale per la capacità installata nell’industria.

Ciò è, in una certa forma, proprio il risultato del grande ciclo inaugurato con la presidenza Lula, che ha fatto proprio, dandogli rinnovata centralità, quel mix di politiche sociali centrate sulla lotta alla povertà e all’esclusione sociale già avviate dal suo predecessore, Fernando Henrique Cardoso. Il governo del Partido dos Trabalhadores, che a gennaio ha iniziato l’undicesimo anno di ininterrotta permanenza al potere a livello nazionale, è forte di dati inconfutabili. Si stima che negli ultimi dieci anni circa 40 milioni di persone siano uscite dalla povertà, l’equivalente di un paese di poco più piccolo della Spagna, e l’impatto economico, sociale e politico di questa trasformazione ha cambiato il volto del paese sotto innumerevoli profili.

Quel modello di crescita, basato sull’inclusione di schiere di new comers della classe media e sulla loro domanda di beni di consumo, a sua volta alimentata da un reddito in costante crescita, da politiche di forte sostegno a questa domanda (attraverso la facilitazione dell’accesso al credito, incentivi fiscali all’acquisto di automobili ed elettrodomestici, ma anche abitazioni) è arrivato al capolinea, osserva Alexandre Schwartsman, ex responsabile Affari Internazionali della Banca Centrale. L’abbandono di riforme strutturali da anni attese (quella del mercato del lavoro e del sistema previdenziale su tutte), la riluttanza a responsabilizzare maggiormente il settore privato per gli investimenti infrastrutturali sono alcuni dei fattori che spiegano una performance economica ultimamente così deludente.

Mentre la crescita rallenta e l’inflazione rialza la testa, attestandosi stabilmente sopra il 6%, anche per la scelta di svalutare il Real, per dare maggiore competitività alle esportazioni, il Brasile è alla ricerca di un nuovo modello di crescita, basato su incentivi che consentano di spostare le decisioni di spesa dai consumi agli investimenti.

Benché il 2014 si profili all’orizzonte con rosee prospettive (ai Mondiali di luglio seguiranno le elezioni presidenziali ad ottobre, con i pressoché inevitabili aumenti di spesa legati al ciclo elettorale), la ripresa di una crescita decisa potrebbe tardare più di quanto le stime del FMI facciano prevedere, in assenza di cambiamenti strutturali.

Twitter: @diegocorrado

Diego Corrado è autore di Brasile senza maschere, pubblicato ad aprile da Università Bocconi Editore

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