Come facevamo a insultarci quando non c’era Twitter?

Il #mollotwitter sta diventando di moda

M’insultano ergo sum. Dopo le minacce a Laura Boldrini e le offese ricevute da Enrico Mentana su Twitter, da giorni si celebrano in Italia i funerali della “civil conversazione”. Sul tema sono intervenuti tutti: prima chiedendo a Mentana di restare su Twitter, poi replicando alla sua lettera d’addio. Giù trasmissioni, corsivi e talk-show. Nell’epoca dell’ingiuria, e soprattutto della sua riproducibilità tecnica, l’insulto scritto sembra diventato la struttura segreta dei social network. Domanda: prima com’era? Risposta: uguale. Sono decenni che sul web prima ci si provoca, poi ci si oltraggia. Da una parte gli anonimi, dall’altra firme più o meno famose, con la zona grigia tra i due insiemi che è l’area più vasta. Qualcuno rischia addirittura di fare la figura del neofita ad accorgersi con ritardo del tipo di galateo usato nel web.

Domanda: sì ma prima del web com’era? Risposta: è una storia lunga, ma già Dante Alighieri, per dire di un poeta, in una celebre “tenzone”, accusò Forese Donati di essere impotente, mangione, violento, ladro, figlio di un padre ignoto. C’era già tutto insomma, e Forese, nei sonetti di risposta, gli dette subito dell’accattone, tanto per gradire. Ci si è sempre offesi, ogni epoca escogita un modo, una retorica e dei canali nuovi. Quello che oggi manca è forse un po’ di sano “virtuosismo dell’ingiuria”. Nel Cinquecento sembrava che stesse per venire giù il mondo: Pietro Aretino era quello che oggi si chiamerebbe un troll. Le sue lettere sono volgarissime, senza diritto di replica, e i suoi giudizi vengono sparati come pietre su obiettivi che sono i più disparati: letterati, prostitute, soldati.

Prima del web forse era peggio. Di solito si passava dagli insulti al duello, oggi per fermare un molestatore su Twitter basta bannarlo. Un tempo, uno dei due contendenti lanciava il guanto per terra e allora la sfida cominciava: quella vera. Lo sapeva bene Gabriele D’Annunzio che discusse aspramente dalle pagine dei giornali con Edoardo Scarfoglio (un altro giornalista, appunto) finché a un certo punto Scarfoglio non ritenne che l’oltraggio aveva superato una linea immaginaria tracciata dal suo onore e lo sfidò a duello. Il giornalista colpì il poeta e al terzo assalto lo ferì. Oggi sul web, in confronto, sono tutti dilettanti.

Gli insulti, si dirà, non piacciono a nessuno. Specialmente all’orgoglio. Ecco il vero convitato di pietra della discussione. Si sta su Twitter per tante ragioni ma mostrare la propria fama a suon di follower è forse la tentazione più grande. L’orgoglio si gonfia, il narcisismo si bea, all’io basta poco per essere gratificato, va benissimo, per esempio, una cascata di retweet. Ma con l’aumentare della fama aumentano le sferzate. Perché le offese? Anche questa non è proprio una novità. Le società funzionano così da sempre. Twitter ha palesato un desiderio collettivo latente che ha origini nella notte dei tempi: dacci oggi il nostro linciaggio quotidiano. Il processo che fece Pilato a Gesù non aveva molto senso: «Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato nulla in lui che meriti la morte. Lo castigherò severamente e poi lo rilascerò», dice Pilato. Ma la folla insiste: «Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso». C’è sempre una vittima, inevitabilmente innocente, perché da sempre il linciaggio è il vero collante di ogni comunità. Basta aprire un libro a caso di René Girard per sapere come funziona il gioco (al massacro).

Sul web, tra narcisismo e sputi ricevuti il cortocircuito è completo. Si sta su Twitter per sfamare il desiderio di notorietà e placare il buco nero dell’ego, ma quando l’orgoglio viene ferito ecco lo scacco. A quel punto la lotta è tutta interiore. Se si abbandona il campo, si spengono i riflettori ma se si resta l’onore ne resterà sfigurato. Come risolvere la questione?

Come tutte le utopie, anche quella del web come mondo senza regole e libero mostra di generare disastri. Di solito, la migliore risposta agli insulti è l’indifferenza. Mentana poteva andar via in silenzio, ha scelto di far esplodere il caso. Se se ne fosse andato in silenzio non lo avrebbe notato tutta l’Italia, ma forse, ricevere insulti diventerà presto un nuovo vezzo.

Dice Saviano: «L’insultatore vuole vivere della luce riflessa dell’insultato». Dà ancora troppa importanza all’insultatore di professione. E poi, sul ricevere critiche immotivate ha giù risposto una volta per tutte Achille Bonito Oliva, che, sprezzante, tuonò: «Critici si nasce, artisti si diventa e pubblico si muore». Mentana avrebbe potuto rispondere così: «Following si diventa, follower si muore». Ma da bravo giornalista fa parte di quelli che cercano la realtà, infatti ha scritto: «Il web del resto è ormai un pezzo della nostra vita. Ma proprio per questo vorrei avvertire tutti quelli che ci si sono chiusi dentro: guardate che fuori non c’è solo l’odiata torre d’avorio dei privilegiati, ci sono strade, negozi e uffici veri, giornali di carta e persone in carne e ossa. Anche tanta gente in difficoltà, che ha perso il lavoro o ha altri problemi veri: e nessuno di loro ha in mano uno smartphone. Per ora siete voi che mimate loro, non il contrario. Ed è dalla realtà che i pavidi fuggono, non da Twitter».

Certo è che quando ci chiediamo com’è fatta la realtà e dove la si può cogliere al meglio dovremmo fermarci a riflettere bene. Sapendo che se ci si pone questa domanda la risposta è contenuta nella domanda stessa. E cioè che la realtà è ovunque, tranne in chi la cerca.

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Twitter: @FrancescoLongo

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