Il mio nome è Ayrton e faccio il pilota
e corro veloce per la mia strada
anche se non è più la stessa strada
anche se non è più la stessa cosa
anche se qui non ci sono piloti
anche se qui non ci sono bandiere
anche se qui non ci sono sigarette e birra
che pagano per continuare
per continuare poi che cosa
per sponsorizzare in realtà che cosa.
E come uomo io ci ho messo degli anni
a capire che la colpa era anche mia
a capire che ero stato un poco anch’io
e ho capito che era tutto finto
ho capito che un vincitore vale quanto un vinto
ho capito che la gente amava me
potevo fare qualcosa
dovevo cambiare qualche cosa.
E ho deciso una notte di maggio
in una terra di sognatori
ho deciso che toccava forse a me
e ho capito che Dio mi aveva dato
il potere di far tornare indietro il mondo
rimbalzando nella curva insieme a me
mi ha detto “chiudi gli occhi e riposa”
e io ho chiuso gli occhi.
Il mio nome è Ayrton e faccio il pilota
e corro veloce per la mia strada
anche se non è più la stessa strada
anche se non è più la stessa cosa
anche se qui non ci sono i piloti
anche se qui non ci sono bandiere
anche se forse non è servito a niente
tanto il circo cambierà città
tu mi hai detto “chiudi gli occhi e riposa”
e io adesso chiudo gli occhi…
(Lucio Dalla, Ayrton)
Clicca sull’immagine per vedere la puntata di Sfide dedicata ad Ayrton Senna
Ecco l’articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 3 maggio del 1994 a firma di Carlo Grandini, Ayrton, una vita seria e spericolata fra Dio, donne e famiglia
Tre anni fa: una sera di primavera, l’epilogo d’una giornata d’ intense prove tecniche che Ayrton Senna aveva sostenuto a Imola. Cenammo insieme. Si poteva parlare alla precisa condizione da lui posta: niente interviste, semmai “uno scambio di pensieri”. Ma su che cosa? “Su qualunque cosa. Per esempio sulla vita e sulla morte”, disse. L’idea della morte proposta dal più grande dei piloti. Il nostro normale senso del pudore cadeva di fronte all’ offerta che non ci aspettavamo. Il mento sorretto da una mano, gli occhi puntati all’infinito, come sempre gli capitava nei momenti di meditazione, lesse così, cantilenando in italiano il suo brasiliano, la pagina traumatica del romanzo che doveva tenere scritta nel cervello e nel cuore. “Non vedo perchè si debba sempre discutere di tutto meno che della morte. Su questa terra si comincia nascendo e si finisce morendo: sono i due poli della nostra parabola. L’importante per me è non sapere dove e quando io morirò , l’importante per lei è non sapere dove e quando lei morirà. Ma, vede, io credo di avere un vantaggio su di lei: per il mestiere che faccio, ho una confidenza con la morte che lei non ha. Da anni mi sembra d’ incontrarla tutti i giorni, perchè tutti i giorni la metto in conto, ho quindi una specie di confidenza. Non si stupisca: mi sembra quasi un’amica. Non mi fa paura. Ma ogni volta che parlo con Dio, che un giorno me la presenterà ufficialmente, appena di questo lo prego: fallo subito e bene. Una ipotesi mi terrorizza: di farmi male, di finire il mio tempo in carrozzella. Per me è un’ ipotesi intollerabile. Regazzoni e Williams sono due eroi. Io non sono un eroe”. Qualcuno già derideva il suo dichiarato dialogo con Dio, imputandolo di comica superbia. Qualcuno già gli opponeva una tesi di bisessualità nata dalle battute ambigue di Nelson Piquet, il tagliente rivale carioca del re paulista. Di fatto Ayrton soffriva, da ragazzo sensibilissimo, e insieme snobbava da cinico sultano “le voci del male”. Di fatto, quella sera a Imola, Ayrton ci stava rivelando la sua ultima natura: del labirinto morale e intellettuale in cui soltanto lui sapeva orizzontarsi, e che sua madre Neyde aveva cercato di descriverci pochi mesi prima a San Paolo, nella villa piena di foto, di coppe, di trofei al numero 5353 dell’ Avenida Nova Cartareira, oltre il cui orizzonte s’intuiva la Sierra. La signora Neyde, bruna e giunonica, non faceva che ripeterci “se Ayrton esce illeso da un incidente, e ne ha avuti e ne avrà tanti, io dico: grazie a Dio. Se Ayrton vince, io dico: grazie a Dio. Noi siamo una famiglia molto unita. Non siamo bigotti, ma a modo nostro, naturale, siamo legati a Dio. Vede, io ho altri due figli: Viviane, psicologa, Leonardo, informatico. Due figli bravi e normali. Ayrton è sempre stato diverso, dai giorni in cui andava a scuola: sempre irrequieto, incapace di stare fermo, innamorato dei motori. Aveva forse quattro anni. Mio marito gli costruì un kart: li’ cominciò tutto. Il tutto di un ragazzo che immaginavamo sarebbe diventato straordinario. Anche per questo abbiamo preso una decisione. Io, sua madre, di origine napoletana, mi chiamo Senna. Suo padre, brasiliano, si chiama Milton Da Silva. Da Silva in Brasile vale un Rossi o un Bianchi in Italia. Banale. E allora, potendolo, io e mio marito abbiamo concordato l’etichetta speciale per un ragazzo speciale: Ayrton Senna”. Innamorato dei motori, delle puzze di benzina, delle moto d’acqua, dei kart, degli aerei e persino delle biciclette. E delle donne? S’era sposato giovane, poco dopo i vent’ anni: un’esperienza impossibile, impastata di lontananze. Il divorzio e il proponimento di non farlo più “almeno fino a quando sarò un pilota. Sarei di nuovo infelice e sarebbe sola e infelice mia moglie. Un assurdo”. Però una catena di certe fidanzate fluttuanti e di certe amiche di ribalta pubblicitaria ha inanellato Xuxa, vedette televisiva, Carol Alt, che stava al numero, Tina Turner, infine Adriana Galisteu, compagna fino al momento del tragico distacco. Ayrton ci giocava. Forse non si limitò a giocare con la fotomodella carioca Marcella Prado, che otto mesi fa, secondo “O Globo” e “Estado de Sao Paulo”, gli regalò una figlia, sino ad ora segreta, di nome Vitoria, definita “molto somigliante al padre”. Per lunghi anni ebbe un cruccio: Alain Prost. Non tanto perchè gli fosse eccezionale avversario in pista, quanto specialmente perchè il grande cardinale di St. Chamond rappresentava e rappresenta l’esatto contrario umano di ciò che Ayrton era: un gelido maestro del calcolo. Prost ha smesso di correre, Senna è morto. Adriana, che domenica si trovava nella villa portoghese del pilota, aveva ricevuto una chiamata allarmata da Ayrton subito dopo il dramma Ratzenberger. “Imola mi dà i brividi, sono molto scosso, mi sta passando la voglia di correre”. Mentre Adriana adesso era smarrita davanti al televisore, in Brasile mamma Neyde cadeva in una crisi nervosa e papà Milton veniva colto da un malore che ne consigliava il ricovero in ospedale. Ayrton, artista della formula 1 e businessman da 25 milioni di dollari l’anno, se n’è andato da leader: era in testa alla corsa. Dio lo ha ascoltato: gli ha presentato d’un tratto la Morte tutta intera, come lui voleva.