La questione è nota: è ineleggibile chi abbia importanti concessioni dallo stato. Si tratta di decidere se la norma colpisca l’amministratore (Confalonieri) o l’azionista di controllo (Berlusconi) della società concessionaria.
Dico subito che, secondo me, la norma guarda soprattutto all’azionista, che è il principale beneficiario del potenziale vantaggio che il seggio parlamentare conferirebbe alla società concessionaria. Ma ciò non basta per decidere se Berlusconi sia ineleggibile, perché – per legge o per consuetudine – questa norma è rimessa alla valutazione di una commissione del parlamento, ed è applicata ex post invece che ex ante. Ciò la svuota quasi del tutto.
A rigore una persona ineleggibile non dovrebbe neppure essere candidabile, poiché la sua elezione priva di senso i voti ricevuti e crea una delicata tensione tra la volontà degli elettori e la legge: tra la sovranità popolare e lo stato di diritto. Questo conflitto, naturalmente, è risolto dal primo articolo della costituzione, secondo il quale la sovranità si esercita nei limiti stabiliti dalla costituzione e quindi dalla legge. Ma è innegabile che una tensione sorga, soprattutto nel caso di un ineleggibile che abbia partecipato a cinque legislature grazie a un numero di voti che eccede il mio desiderio di ricordarli.
In secondo luogo, per legge o per consuetudine, la giunta per le elezioni non decide applicando i canoni della logica giuridica, come farebbe una corte, ma delibera secondo i convincimenti dei propri membri, i quali tengono conto anche di altre considerazioni. Legittimamente, direi, perché se il nostro sistema istituzionale avesse voluto un’applicazione rigorosa di quella norma ne avrebbe affidato l’applicazione a un organo giudiziario e non a un organo politico.
Tra le considerazioni di carattere non giuridico di cui tengono conto ve ne sono, ad esempio, due. Prima: Berlusconi è il mio leader (parola inglese che significa “capo”) e pertanto è eleggibile. Seconda: se Berlusconi fosse dichiarato ineleggibile il governo cadrebbe, ci sarebbero nuove elezioni, Berlusconi le vincerebbe, e nel frattempo il delicato equilibrio che tiene in piedi l’Italia e l’Europa si sarebbe probabilmente spezzato, con conseguenze gravissime; e pertanto è eleggibile.
Io penso che Berlusconi sia radicalmente inadeguato a governare il paese e mi piacerebbe che non controllasse una porzione così vasta del mercato dell’informazione, ma il problema è complesso: o si è certi che dopo averlo dichiarato ineleggibile il governo reggerà, o se ne formerà uno migliore, oppure il rischio è troppo grave. Perché è evidente che Berlusconi userà la minaccia di far cadere il governo per impedire al Pd e a Scelta Civica di dichiararlo ineleggibile, e avrà ogni interesse di attuare questa minaccia qualora fosse espulso dal parlamento.
Se questo è vero, coloro che si oppongono a Berlusconi e coloro che lo ritengono, a rigore, ineleggibile non possono farsi mettere alle corde da Grillo su questo tema. Se Grillo vuole l’ineleggibilità di Berlusconi deve anche volere un governo alternativo a quello in carica, altrimenti la sua posizione deve essere smascherata come ipocrita.
Occorre spiegare all’elettorato che la norma sull’ineleggibilità è inadeguata; che occorre invece una seria disciplina del conflitto d’interessi; che l’inadeguatezza di quella norma e la mancanza di quella disciplina sono due manifestazioni dei difetti del nostro sistema politico; che nella situazione presente tali difetti non si rimediano applicando quella norma; e che la decisione va presa in base alle prevedibili conseguenze.
Ecco perché mi sembra inopportuno dichiarare semplicemente che Berlusconi è ineleggibile, come recentemente ha fatto il capogruppo dei senatori del Pd, se non si è prima raggiunto un accordo con Grillo. Diventerebbe troppo facile per lui rifiutare l’accordo, costringere il Pd a votare per l’eleggibilità di Berlusconi al fine di evitare la sua vittoria e il tracollo del paese, e poi crocifiggere il Pd per la sua duplicità.
Invece bisogna sfidarlo. E bisogna applicare alla questione dell’ineleggibilità lo stesso lucido cinismo che Berlusconi usa: può diventare uno strumento di pressione sull’ineleggibile, utile a bilanciare la sua inclinazione a legare i destini del governo ai suoi personali problemi con la repressione del crimine, o addirittura un’occasione per cambiare maggioranza. Farlo non sarebbe immorale, per le ragioni esposte sopra: questa norma è un istituto di carattere più politico che giuridico – o quantomeno così è diventata – ed è legittimo usarla in questo modo.