Il Ciclismo è passione, spirito di sacrificio, volontà. Tutto questo e molto altro è stato il 96°Giro d’Italia. Ci rimarrà a lungo impresso nella memoria per i momenti, i volti e le immagini che ci ha regalato. Alla fine lo ha vinto, meritatamente, Vincenzo Nibali. Il corridore venuto da lontano, che da giovane ha dovuto lasciare la Sicilia e trasferirsi in Toscana per rincorrere il sogno del professionismo. A ventotto anni e nel pieno della sua maturità sportiva, l’atleta messinese centra la vittoria più importante della sua carriera rendendosi protagonista della corsa fin dalle battute iniziali. Nibali infatti conquista la maglia rosa già nella seconda settimana di gara per non lasciarla più.
La sensazione, però, che si ha al termine di questo giro è che il trionfo di Vincenzo Nibali rappresenti qualcosa di più di una semplice vittoria. E lo si capisce innanzitutto dalle circostanze in cui questa si è verificata. Quest’anno più che mai infatti il Giro è stato flagellato da condizioni meteorologiche avverse. Oltre alla pioggia che ha accompagnato quasi tutta la prima fase della competizione. E’ stata la neve a condizionare la prestazione dei corridori: una protagonista indesiderata che ha portato alla cancellazione di una intera tappa, la diciannovesima Ponte di Legno-Val Martello, una delle più appassionanti che prevedeva scalate come Stelvio e passo del Tonale. Evento che solo due volte si era verificato (nel 1968 e nel 1989) nella storia della corsa a tappe italiana.
Qualcuno lo ha definito il giro delle bufere: sì perché per uno strano scherzo del destino il giorno stesso dell’annullamento della tappa, sulla corsa rosa si abbatte un’altra tempesta. Questa volta però non ha niente a che vedere con la meteorologia: è una tempesta che riporta in vita vecchi fantasmi mai scacciati del tutto, retaggi di una vecchia cultura sportiva che ha lasciato ancora qualche strascico doloroso. Danilo di Luca corridore delle Vini Fantini-Selle Italia, in seguito ad un controllo a sorpresa avvenuto nella sua abitazione il 29 Aprile scorso, è risultato positivo all’Epo. E’ una botta tremenda per tutto l’ambiente. Tuttavia c’è ancora la forza di reagire a l’ennesima batosta: il corridore abruzzese viene immediatamente licenziato e tutti i ciclisti rilasciano un comunicato di ferma condanna dell’accaduto.
Non c’è tempo per i drammi perché la corsa incombe. La ventesima tappa è tra le più dure e l’arrivo è previsto sulle Tre Cime di Lavaredo. E’ qui che il ciclismo si riconcilia con i tifosi e con tutto il mondo dello sport. E’ qui che il Giro d’Italia si risolleva dopo essere andato al tappeto come un pugile suonato. E’ qui che Vincenzo Nibali riesce a farci emozionare, come solo un romagnolo con la pelata lucida e le orecchie a sventola riusciva a fare alla fine del secolo scorso. Le immagini dell’ultimo chilometro ci rimarranno tatuate nella mente come il primo giorno di scuola, la prima comunione o il giorno del nostro matrimonio. Viene giù una fitta nevicata: serve a lavar via tutte le scorie, tutte le tossine, tutte le maldicenze in grado di contaminare una vittoria che ha il sapore e il volto della purezza. Il volto di un giovane siciliano che ha solo tanta voglia di pedalare.
E non è tutto perché questo sarà ricordato anche come il giro di Mark Cavendish: è lui il vero cannibale della corsa rosa con cinque vittorie di tappa, tutte in volata, che gli permettono di vincere la classifica a punti. E conquistare la maglia rossa. Ma tra tutte le vittorie quella che merita una menzione speciale è la seconda. Vittoria in cui il corridore britannico si presenta sul podio mostrando a tutti il numero 108. E’ quello di Wouter Weylandt scomparso due anni prima in un tragico incidente proprio al giro. Il ciclismo è anche questo. Infine è stato anche il giro di fine carriera di Stefano Garzelli a cui è stata concessa una breve passerella durante l’ultima tappa di ieri.
Tutto questo, ma anche molto altro, ci fa pensare che ci sia ancora più di un buon motivo per dire: viva il Giro.
Twitter: @FabrizioMarino_