Una firma di tutto riposoPerché i giornali per gli studenti sono solo di carta?

L’iniziativa del “Quotidiano in classe” solleva più di una domanda

Puntuale come la Fiera del Levante, l’Osservatorio Permanente Giovani-Editori, ideato da Andrea Ceccherini e finalizzato alla diffusione e alla lettura ragionata dei quotidiani alle scuole superiori, ha tenuto ieri e l’altro ieri il suo convegno annuale, con ospiti del calibro di Jill Abramson, direttore del New York Times, e del premio Pulitzer Peter Kann.

Come funziona questa iniziativa del Quotidiano in Classe? I docenti interessati all’iniziativa concedono un’ora di lezione settimanale per la lettura di alcuni quotidiani in classe, mentre gli editori che partecipano all’iniziativa (RCS, Sole 24 Ore e Monti-Riffeser) forniscono la materia prima, cioè i quotidiani stessi. Qual è dunque la finalità principale del progetto? Secondo un punto di vista benigno, lo scopo finale dell’Osservatorio e del suo fondatore Andrea Ceccherini consiste nell’accrescere il numero di persone consapevoli ed informate, che saranno in grado nel futuro di partecipare attivamente alla vita economica, sociale e politica del paese. Secondo una prospettiva vagamente più maligna, gli editori sono innanzi tutto felici di avere trovato qualcuno che riesca garbatamente a mettere insieme un gruppo sostanzioso di acquirenti futuri dei loro prodotti.

A prescindere dalle finalità ultime dell’iniziativa, quali sono gli effetti della lettura in classe dei quotidiani sul livello di informazione degli studenti, e sulla loro propensione a diventare lettori abituali nel presente e nell’immediato futuro? Per rispondere a questa domanda, c’è da apprezzare il fatto che sul sito dell’Osservatorio sono facilmente reperibili le analisi sul tema effettuate da GFK Eurisko.

A leggere questo documento, gli effetti del “Quotidiano in Classe” sugli interessi degli studenti e sulla loro propensione ad informarsi vengono stimati confrontando gli studenti che hanno partecipato per più anni al programma stesso (gli “studenti esposti”) e chi non ha partecipato o ha partecipato per la prima volta (i “non esposti”). Questi effetti sembrano positivi e sostanziosi. Tuttavia, dal punto di vista statistico il rischio grosso è di finire per sovrastimarli. La ragione di ciò è presto detta: gli insegnanti che partecipano all’iniziativa non vengono scelti a caso (come in un esperimento) ma decidono volontariamente di partecipare. Si può nutrire il legittimo sospetto che gli insegnanti che partecipano sono in media più motivati rispetto a chi non partecipa, e/o partecipano in quanto sanno che i loro studenti sono più motivati della media. In entrambi i casi gli studenti “esposti” appaiono più informati e consapevoli di quelli non esposti: forse i meriti di una maggiore consapevolezza sono di loro stessi e dei loro insegnanti, non (solo) del Quotidiano in Classe!

Vi sono poi altri aspetti su cui riflettere. Innanzi tutto il gruppo di quotidiani distribuiti in classe (in virtù di un accordo con l’editore) non è certamente rappresentativo dell’intero panorama: ci sono il Corriere della Sera, la Stampa e il Sole 24 Ore e le testate del gruppo Monti-Riffeser, mentre manca in maniera plateale la Repubblica, cioè il secondo (o primo?) quotidiano italiano. Mancano poi quotidiani chiaramente di destra come Il Giornale e Libero, e mancano totalmente i quotidiani di sinistra. Manca infine il Fatto Quotidiano, che –in un panorama di vendite inesorabilmente decrescenti- rappresenta la vera novità di successo degli ultimi anni, con vendite superiori alle centomila copie tra edicola ed abbonamenti, ed un modello di business in cui hanno meno rilevanza gli introiti pubblicitari. Se la consapevolezza dei giovani lettori si forma attraverso la lettura comparata dei diversi punti di vista, il ventaglio delle posizioni ideologiche coperte dovrebbe essere molto più ampio.

Ed infine: non si può pensare che sia economicamente giusto ed inevitabile che i quotidiani vendano meno copie e che le redazioni diventino più piccole? Come nuovo mezzo di comunicazione, internet gode di vantaggi comparati chiari rispetto ai quotidiani. Su internet si trova un quantitativo impressionante di informazioni, di cui alcune sono certamente poco attendibili, ma il lettore intelligente può saltare dall’una all’altra e guardarsi dalle fonti poco credibili. Inoltre il costo monetario per le informazioni di base raccoglibili su internet è nullo. Purtroppo per le imprese editoriali gli introiti pubblicitari che si possono raccogliere su internet per un numero dato di lettori sono all’incirca dieci volte più piccoli di quelli che si ottengono con la carta stampata: i lettori di internet hanno i piedi di lepre nel saltare da una fonte all’altra, quindi sono abbastanza disattenti alla pubblicità in cui si imbattono. Internet è una sfida difficile per i produttori di informazione, ma una prospettiva piacevolmente utile per i consumatori: per quale ragione gli studenti come consumatori presenti e futuri dovrebbero essere in qualche modo indotti a diffidarne?

E dunque la riflessione finale è questa: devono proprio essere gli editori tradizionali a spiegare agli studenti come leggere le notizie in maniera intelligente e consapevole? Con una buona pace di Ceccherini e del suo notevole talento politico-imprenditoriale, non sarebbe una buona cosa che i programmi ministeriali per le scuole superiori prevedano direttamente lezioni di educazione civica sulle notizie e sull’informazione, senza appaltare l’intera faccenda ad un sottoinsieme di chi questa informazione la vende? E ancora: gli editori che finanziano l’iniziativa stanno facendo un buon affare dal punto di vista della crescita dei lettori futuri, oppure hanno fatto male i loro calcoli e si portano a casa solo un convegno in più dove chiacchierare ad alto livello? 

Twitter: @ricpuglisi

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