Ottanta aziende ceramiche, un indotto di fornitura di altre 4-500 Pmi, 30mila posti di lavoro e oltre 3 miliardi di euro di export, in pratica l’80% della produzione del territorio. Quando si parla di Sassuolo, in qualunque contesto questa cittadina venga evocata, non si può che partire dalle gesta del suo distretto ceramico campione del mondo. Proprio ieri la locale squadra di calcio ha compiuto un mezzo miracolo (sportivo) salendo nientemeno che in serie A. Un miracolo simile a quello di chi, cinquant’anni fa, diede vita alle prime ceramiche, magari di ritorno dalla Germania dove si erano copiati macchinari e tecniche di produzione, di fatto l’innesco di una straordinaria stagione produttiva e creativa. Sassuolo in pochi anni diventa mecca di studiosi, economisti industriali, dal giovane Romano Prodi al guru americano Micheal Porter, e oggi di grandi aziende straniere che vengono nel modenese a fare shopping preservando qui produzioni e posti di lavoro perchè il microcosmo che si è creato nel tempo rimane inimitabile all’estero. Nonostante la crisi e le ristrutturazioni. Ma soprattutto, Sassuolo è la storia di un territorio e dei suoi uomini, molti nati in loco e altri ormai di casa come Giorgio Squinzi, mister Mapei, proprietario della squadra di calcio che ha fatto il miracolo. Un rapporto di simbiosi «nato negli anni settanta quando piastrelle e collanti viaggiavano assieme nei camion per risparmiare sui costi della logistica», come ricorda Dario Di Vico. Nel modenese l’agente commerciale della Mapei era proprio quel Carlo Rossi che sarebbe diventato, dieci anni fa, il presidente del Sassuolo Calcio. Mentre oggi Squinzi, oltre che essere a capo di Confindustria, guida una multinazionale che, nel modenese, continua a possedere due fabbriche che producono colla e un’azienda di mosaico.
Per raccontare al meglio il clima irripetibile di questo miracolo di provincia, a cavallo tra sport, economia e uomini creativi e tenaci, pubblichiamo un estratto della prefazione che il grande e compianto Edmondo Berselli scrisse nel 2008 per il libro di Andrea Serri: Roma-Sassuolo: biglietto di sola andata. Piccola storia dell’industria italiana delle piastrelle (Arbe editoriale). Un testo che restituisce meglio di qualsiasi cronaca l’humus in cui il piccolo Sassuolo ha compiuto il suo miracolo sportivo.
Quegli uomini dell’Emilia con le mani nell’argilla
Andate negli archivi dei grandi giornali, quelli che facevano le inchieste, e vedete se trovate qualche reportage su Sassuolo o Casalgrande. Al massimo troverete durante gli anni Settanta qualche inchiesta apocalittica, dove si dirà che l’ambiente, da queste parti, è invivibile, che nell’aria si misura una concentrazione infernale di piombo, cosicchè se si lascia fuori l’auto parcheggiata per qualche giorno si riempie di uno strato di untuosità che contiene tutti i metalli pesanti dell’universo, uranio compreso. Cosicchè a leggere i giornali ci si farebbe l’idea che qui a Sassuolo è già molto se non nascono bambini con sei dita, e magari gozzuti o gobbi, e con i bozzi mostruosi sulla fronte come l’uomo elefante.
Invece, non è che siano riusciti a raccontare per benino come si è sviluppata questa economia, questo settore, questo distretto, che come dicono i professori universitari di economia industriale “ha un indice di produttività superiore di quello di Baden-Wurttenberg.” Perchè prima di tutto ci vorrebbe lo stile analitico e descrittivo di un grande economista come Joseph Schumpeter, quello della distruzione creatrice, per spiegare come lo spirito degli imprenditori liquida il passato e investe nelle nuove imprese, con una specie di volontà nichilista che agisce sulle cose in una continua volontà di manipolazione creativa. E poi bisogna avere l’idea di come sono fatti gli uomini dell’Emilia vera: gente che disprezza le astrazioni, che ha il senso della consistenza della realtà, della terra, degli elementi materiali.
Davvero, altro che la leggerezza buongustaia e borghese di Bologna, altro che la sofisticheria quasi parigina dei parmigiani. Metallo, argilla, fuoco, motori, forni, soldi. E anche il gusto della scommessa, la voglia di provarci. Lo spiegò bene una volta Romano Minozzi, e tutti sanno che le sue parole sono diventate una specie di mito di fondazione del distretto ceramico: allora si diceva che, a Sassuolo, tra il fare una partita a briscola e fondare una ceramica non c’era differenza…ma non era vero: si facevano molte più ceramiche che briscole.” E’ questa la sintesi di un clima, di un ambiente, di una atmosfera particolare, di quegli anni Cinquanta e Sessanta in cui bastavano pochi milioni “per fare un rogito”, come si diceva tra soci magari improvvisati, e mettere su una impresa: e dare il via a una delle esperienze industriali che hanno caratterizzato l’Italia, il made in Italy, l’intelligenza italiana, nel mondo sviluppato, tra le economie avanzate.
Fin dagli inizi la ceramica si colloca entro un apparato di piccole e medie imprese tenute insieme da una miscela di cooperazione e competizione. In un contesto simile si respira una specie di “atmosfera industriale” che permette ai soggetti coinvolti nel processo produttivo di beneficiare di una serie di vantaggi: “circolazione di informazioni, fornitori e lavoratori specializzati, valori di fiducia e cooperazione, servizi e infrastrutture collettive, esperienze professionali tramandate di generazione in generazione.” A cui si aggiunge che tutta la vicenda dell’industria ceramica avviene in un contesto sociale e politico particolare, in cui la stabilità delle amministrazioni e il pragmatismo del partito comunista locale permettono alla politica di assecondare la crescita industriale, garantendo anche un basso livello di conflitto nelle relazioni industriali. In una situazione di questo genere, talvolta ci voleva poco più, poco meno di un anno per passare dall’atto di fondazione della società alla produzione industriale.
Certo oggi le cose sono molto cambiate, i margini si sono abbassati, il costo del lavoro si è alzato, e ci vuole più tempo per ammortizzare un impianto automatizzato che comporta l’investimento di un centinaio di milioni di euro. Ma per diversi profili la creatività imprenditoriale è rimasta la stessa, e certamente è rimasta altissima la capacità di adattarsi al mutare del contesto competitivo e alle esigenze dei mercati, cioè il consumatore finale. E’ la particolare struttura del distretto, la sua integrazione, che consente questa duttilità così pronunciata. Ed è l’economicità di servizio che consente anche agli operatori più piccoli di rimanere sui mercati
Questo significa che ulteriori cambiamenti sono attesi, e che quindi l’inquietudine che serpeggia ha le sue legittime ragioni. Ma nello stesso tempo occorre avere ben chiaro che i prodotti non finiscono mai. C’è sempre la possibilità di reinventarli. Il fax è nato dai tentativi falliti di realizzare una macchina per scrivere che stampasse gli ideogrammi. Il videoregistratore è una costola di un prodotto considerato a suo tempo stravecchio come il televisore. Dunque mentre sembra chiudersi una lunga fase, e in attesa che se ne apra un’altra, converrà che chi rimane a combattere sul campo la partita del mercato faccia tesoro dell’ostinazione saggia, della determinazione sorridente, della volontà che dissimula la fatica, che ha condotto tante persone ad impegnarsi nella battaglia quotidiana dell’impresa qui a Sassuolo…