Movimento Cinque Stelle, Sinistra Ecologia e Libertà, Partito democratico. A Montecitorio si salda un fronte trasversale per fermare l’acquisto dei cacciabombardieri F35. Un’alleanza bipartisan che rischia di creare non pochi problemi alla tenuta del governo Letta. Nei giorni scorsi 158 deputati hanno firmato una mozione che impegna l’esecutivo a sospendere la partecipazione italiana al discusso progetto. Un documento per destinare i circa 13 miliardi di euro previsti per i velivoli militari a diverse finalità. Dalla costruzione di asili nido alla manutenzione degli edifici scolastici.
A firmare la mozione c’è l’intero gruppo parlamentare del M5S, gli esponenti di Sel e quattordici deputati democrat. Tra loro – curiosamente tutti assenti alla presentazione – Pippo Civati, Laura Coccia, Antonella Incerti. I promotori dell’iniziativa puntano ad allargare il consenso parlamentare e raccogliere altre firme. Tutto negli stessi giorni in cui il ministro della Difesa Mario Mauro continua a confermare l’impegno del governo sui cacciabombardieri Joint Strike Fighter.
La mozione depositata alla Camera evidenzia alcuni dubbi sul progetto «frutto di un accordo tra Stati Uniti e 8 paesi partner, tra cui l’Italia, che prevede la realizzazione di 3.173 velivoli per un costo complessivo stimato di 396 miliardi di dollari». Dopo un’iniziale richiesta di 131 aerei, l’anno scorso l’Italia ha ridotto la commessa a 90 velivoli. Tanti gli interrogativi sugli F35, molti di natura tecnica. Il documento presentato a Montecitorio cita alcune criticità evidenziate dal Government Accountability Office del Congresso americano e dallo stesso Pentagono. «La vulnerabilità ai fulmini, i problemi al motore che hanno portato allo stop dei voli dell’aereo, la denuncia dei piloti dell’incapacità di combattere non avendo nessuna chance di successo in uno scontro reale».
E così alcuni paesi hanno iniziato a sfilarsi. La mozione ricorda che se in Olanda è stata avviata un’inchiesta parlamentare, l’Australia ha già deciso di acquistare altri velivoli militari. Intanto la Turchia ha deciso di rinviare l’ordine degli apparecchi e la Danimarca ha riaperto la gara per decidere entro il prossimo biennio di quali apparecchi dotare la propria aeronautica.
Intanto i costi aumentano. Secondo quanto denunciato dal deputato di Sel Giulio Marcon, il nostro Paese dovrà affrontare una spesa complessiva di circa 12,9 miliardi euro. Solo quest’anno ne sarebbero stati stanziati 4 miliardi. «Con la stessa cifra – spiega il parlamentare alla Camera – si sarebbe potuto cancellare l’Imu sulla prima casa. Oppure mettere in sicurezza oltre 8mila scuole, aprire 3mila asili nido o coprire per metà il costo dell’introduzione di un reddito di cittadinanza».
Peraltro, spiegano i firmatari della mozione, la partecipazione al programma F35 non porterà alcun ritorno economico all’Italia. Ad oggi le nostre industrie hanno ottenuto appalti per circa il 20 per cento di quanto speso dal governo. «Fonti governative e militari – si legge nel documento – negli anni hanno ipotizzato l’arrivo di 10mila posti di lavoro». In realtà secondo alcune stime dei sindacati citate dai firmatari della mozione i posti in più sarebbero circa 2mila. «Per di più ricollocazioni di lavoratori precedentemente impegnati con l’Eurofighter».
La mozione impegna il governo a cancellare senza indugi la partecipazione italiana al progetto. Il denaro risparmiato dovrebbe essere investito «in un programma straordinario di investimenti pubblici finalizzato alla messa in sicurezza degli edifici scolastici, alla tutela del territorio nazionale dal rischio idrogeologico, e alla realizzazione di un piano pluriennale per l’apertura di asili nido». I rappresentanti della campagna “Taglia le ali alle armi” presenti alla Camera offrono qualche esempio concreto. Secondo le stime dell’organizzazione, al costo di un solo cacciabombardiere sarebbe possibile costruire 387 asili nido (11.610 famiglie beneficiarie e 3.500 nuovi posti di lavoro), oppure 21 treni per pendolari con 12.600 posti a sedere. Ma anche 30mila borse di studio per studenti universitari o la creazione di servizi di assistenza per circa 15mila famiglie con disabili e anziani non autosufficienti.