Maggio è il mese di Francis Scott Fitzgerald. E come sempre, alle spalle e intorno al nome dello scrittore americano, si agita il fantasma della moglie, Zelda. Al Festival di Cannes, e poi dal 16 maggio nei cinema italiani, uscirà Il Grande Gatsby. Il film è diretto da Baz Luhrmann (Romeo + Juliet, Moulin Rouge), e sarà molto più che una adattamento per immagini del romanzo, datato 1925 e portato al cinema già quattro volte. Sarà una festa per immagini, in 3D, con una colonna sonora super pop (Jay-Z, Beyoncé, Lana del Rey), cast pazzesco (Leonardo Di Caprio nel ruolo di Jay Gatsby) e scelte visive non convenzionali. Insomma, l’ideale per rilanciare la voglia di leggere e rileggere Fitzgerald.
E con Scott, torna anche il mistero Zelda, la scrittrice talentuosa, la moglie bipolare morta nell’incendio di un manicomio, la flapper (maschietta), l’icona femminista. Un solo libro lasciato per giudicare il suo talento, “Lasciami l’ultimo valzer” (pubblicato da Bollati Boringhieri), e tantissimi tra romanzi, saggi e biografie scritti su di lei. Per gli editori americani e italiani, questo è il momento Zelda. Negli Stati Uniti è stato tradotto “Superzelda – la vita disegnata di Zelda Fitzgerald”, pubblicato da noi nel 2011 per minimum fax da Tiziana Loporto e Daniele Marotta. Una graphic novel basata in gran parte sull’illustrazione delle foto di Zelda e sulle sue parole. «Un libro arguto e diretto» così è stato ben accolto negli Stati Uniti dal Chicago Tribune.
E sull’icona Zelda si è lanciato anche Alfonso Signorini, direttore di Chi e raccontatore seriale di donne tormentate (Coco Chanel, Marylin Monroe, Maria Callas). Con candore, Signorini a Panorama ha ammesso che di Zelda e Scott sapeva poco, prima che Mondadori gli chiedesse di scrivere Amore folle amore, la scandalosa storia di Zelda e F. Scott Fitzgerald. Un mese di stesura, due anni di ricerche per scandagliare tutto il ricchissimo privato della coppia: «Sesso, alcol, litigi, pazzia» e farne due eroi «assolutamente contemporanei, persino nel loro rimanere ostinatamente insieme, ostinatamente insoddisfatti».
La beffa finale per Zelda è che non esiste racconto su di lei che sia racconto su di lei e Scott. Come se lontana dal grande scrittore che fu suo marito, lei non fosse che un’ombra. Erika Robuck (già biografa degli amori di Hemingway), in “Call Me Zelda”, ha immaginato la loro storia d’amore come una faccenda di vampiri, con Scott a succhiare e Zelda a farsi divorare tutta la forza vitale, anno dopo anno, senza riuscire a evadere da quel rapporto malato. Un romanzo schierato e femminista. Il Fitzgerald di Robuck è un cattivo senza redenzione: ladro di idee, plagiatore, geloso e alcolizzato. Zelda una donna dal troppo talento (sapeva scrivere ballare cantare), vitale ma incapace di ribellarsi fino in fondo. Tutto raccontato attraverso gli occhi dell’infermiera che si prese cura di lei, Anna.
L’amore disfuzionale e malato con il grande scrittore. Tutti i racconti su Zelda indugiano, quasi morbosamente, su questo lato della sua vita, con lo schieramento in due squadre: Team Scott-Team Zelda. Di chi è la colpa? Chi è il cattivo? Come se solo questo contasse, 73 anni dopo la morte di lui e 65 dopo quella di lui. In “Z: A Novel of Zelda Fitzgerald”, di Therese Anne Fowler c’è il racconto dei primi anni della loro relazione, l’incontro con lo scrittore a Montgomery, in Alabama, descritto con toni romantici da chick-lit. Lei ha 17 anni, lo guarda per la prima volta e sospira, «Oh my».
Con “Beautiful Fools: The Last Affair of Zelda and Scott Fitzgerald” l’indagine sul mistero Zelda si sposta agli anni finali del loro amore, sempre nell’intenzione di risolvere il caso come la storia di un amore sbagliato. L’autore, R. Clifton Spargo, prova a raccontare l’ultimo tentativo di Scott e Zelda di salvare il loro amore, in un lungo viaggio della coppia nel 1939 nella Cuba di Hemingway, mostrando una Zelda incapace di uscire dalla sua follia, e un Fitzgerald mai in grado di contenerla. «Sarebbe stata meglio senza di lui? Chi può dirlo» si chiede Therese Anne Fowler «Erano due lati della stessa medaglia, se non si fossero conosciuti, forse oggi non staremmo parlando di nessuno dei due».
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