È mai possibile che siamo ancora da capo con i processi a Berlusconi? Quando torneremo ai tormentoni musicali dell’estate, invece che ai tormenti di un’Italia non ancora post-berlusconiana? Probabilmente mai: l’ho capito quando ho riletto con altre attenzioni “La casa di via Valadier” di Carlo Cassola.
È uno di quei racconti brevi in cui la Roma nostalgica del Ventennio nasconde la casa di Anita, vedova di un deputato socialista, che diventerà il rifugio morale di un gruppo di compagni. Qui le utopie e apatie di un preciso nucleo famigliare si sovrappongono alle scelte politiche di un’intera generazione, fecendo emergere le domande di sempre. Alla fine il nipote Leonardo ricorderà una delle ultime discussioni con il padre al tempo della guerra d’Africa, in cui «ad un certo punto aveva tagliato corto: – D’ora in poi, – aveva detto, – non è più questione di fascismo o di antifascismo: c’è l’Italia -».
Sì, c’è sempre stata l’Italia nell’intenzioni di chi voleva impegnarsi per essa: ma la scena era poi di fatto occupata da un solo italiano. In questo senso il Ventennio si è fatto vicino: anche oggi c’è l’Italia dietro gli armistizi politici, e alle larghe intese si arriva sempre partendo dalle buone intenzioni – affrontare la grave crisi economica per esempio. Sono intenzioni che, per un bene maggiore, mettono da parte le divisioni ideologiche, anche quando sono sostanziali.
È vero: sinistra e destra oggi rischiano di avere solo un significato convenzionale, ma dietro ad esse c’è sempre e solo l’Italia? Diremmo di no: ci sono invece sicuramente gli italiani. E se ci facciamo guidare dal naturalismo cassoliano vediamo che il destino dell’Italia finisce per vestire i panni di una realtà minima, dove le facce si assomigliano tutte. Ció provoca in Leonardo la conclusione che quanto accade non ha propriamente “un colpevole”, qualcuno di preciso con cui prendersela, a meno di incolpare il tempo. È infatti il tempo il vero responsabile della polvere sugli oggetti, è lui che svuota dall’interno le nostre passioni.
Non ci crediamo più alla politica, ma non ci credevano neppure quelli di via Valadier: per l’onorevole Bergamaschi i tempi eroici del verbo socialista sono solo quelli di Turati, Prampolini e Treves. Poi basta. Tuttavia sarebbe un errore cedere ai Maggiorelli, che vedono solo indifferenza e mancanza di ideali in questa società italiana. Né i giovani nè i vecchi, ma soltanto il tempo è colpevole. E nel nostro destino esso porta la firma minima del berlusconismo che probabilmente è pure un tratto dell’italiano che serpeggiava già nel Ventennio: bisogna solo aspettare che il tempo faccia il suo corso, semplicemente esaurendolo.
Passerà: la pensava così il marito di Anita. La pensava così anche il Bergamaschi. E forse è meglio che la pensiamo così anche noi. Purtroppo alcuni, come la vedova Turri, non vivranno abbastanza per assistere alla caduta di questo “regime”. Altri invece, magari ancora con tutti i denti in bocca, assisteranno ad una nuova intesa… Naturalmente per il bene dell’Italia.