«La vita si vive o si scrive» diceva Luigi Pirandello. E sono celeberrime le tre scrivanie di Giovanni Pascoli, una per l’Italiano, una per il latino, e l’ultima per la poesia. Oggi, in un post drammatico e per certi verso persino struggente, Bimbo Alieno, uno dei tweet-blogger più apprezzati dalla rete, getta la spugna così: «Dopo oltre quattro anni, ho deciso di chiudere questo blog». Ma cosa lega, vi chiederete voi, i due grandi padri di letteratura italiana ad un postmoderno opinionista della rete?
Molto più di quello che non appaia. L’inquietudine per il tempo che fugge, per esempio. La nevrosi del dover fare, il compito da cui non si scappa che ti angoscia. E poi – senza dubbio – il salto di responsabilità e di impegno imposto dal tempo della connessione totale. Se Pascoli sentiva il bisogno di circoscrivere i suoi impegni attraverso la barriera architettonica, ma tutta cerebrale delle scrivanie, se Pirandello si interrogava sulla difficoltà di tenere aperto uno spazio per l’esistenza, oltre quello sempre più soverchiante dell’immaginazione e della scrittura che tendono a fagocitare la vita, Bimbo alieno, come tutti noi, si chiede come si possa difendersi dall’impossibilità di staccare la spina: «Ciò che rende irrevocabile questa decisione – ci dice nella lettera d’addio pubblicata sul proprio blog – è la constatazione che l’identità “Bimbo Alieno” ha preso il sopravvento sul suo creatore. Pertanto questo ultimo post lo scrivo come Andrea Boda, e non come Bimbo Alieno».
C’è quindi, oltre l’alienazione teorica, anche il paradosso della perdita di identità reale.Iil Web non si limita ad assorbire energia, ma finisce con il plasmare la vita, le sue priorità: «Il relativo successo di questo sito, e dell’account Twitter collegato – scrive Boda – ha distratto le mie attenzioni dalla mia famiglia, dai miei due figli e dalla donna che amo: mia moglie, la vera artefice dell’uomo che sta dietro il nickname». Anche per lui, come per tutti noi, il dilemma era molto più di quello di vivere o scrivere, quello di non riuscire più a vivere, fuori dall’abbraccio dolce e feroce dell’every-time-linked.
Pensiamo, a volte correttamente, che il tempo degli smartphone ci abbia consegnato libertà, ma la gioia di essere liberati dal lavoro stanziale, spesso ci impedisce di capire, che lo stesso strumento ci imprigiona nel lavoro permanente e senza fine, nell’incubo della reperibilità totale, nel bombardamento degli impulsi senza tregua. A volte, se non fosse per quelle maledette tacche della batteria che calano, io non avrei la percezione del tempo infinito che passo connesso con l’uccellino diabolico di Twitter. E bisogna riflettere sempre di più, sul fatto, che dopo millenni in cui tutti i commercianti facevano a botte per avere le vetrine del centro, le vetrine più esposte, ed erano pronti a pagare delle tasse, per ottenerle, adesso le vetrine pur ce le portiamo a casa noi, sui nostri tablet, sono aperte giorno notte, ci inducono continuamente a comprare e a consumare, e la tassa la paghiamo sempre noi, e non più chi vende, acquistando lo strumento a cui ci ritroviamo incatenati e il pedaggio per farlo funzionare.
Nell’Ottocento, e anche nel Novecento prima la coercizione, e poi il denaro, sono state le molle che hanno spinto generazioni di uomini e donne al lavoro. Adesso, nel tempo del web, entrano in gioco strumenti più sofisticati come la curiosità e la compulsività. Non restiamo ore incantati a twittare ad aggiornare siti perché qualcuno ci obbliga, ma perché questo solletica istinti narcisistici e bisogni di gratificazione ancestrali. Ecco perché prendo terribilmente sul serio le parole di Boda quando dice: «Desidero tornare ad essere una persona che si informa perché ne ha bisogno, e non che lo fa per esprimere opinioni competenti ad una platea, per il brivido di sentirsi uno stimabile pensatore». È quasi inquietante il finale di questa confessione in pubblico: «Tralasciate pure i commenti mirati a farmi cambiare idea, ho deciso che resterò umano, non sarò più un “alieno”».
Dietro queste parole, dunque, si intuiscono tragedie familiari, e discussioni, forse drammatiche: quegli che tutti noi affrontano ogni giorno, quando si trovano a dover coniugare la vita reale e quella virtuale. La vita si vive, o si scrive, e qualche volta si Bimbo Alieno: provate a immaginare cosa sarebbe successo al povero Pascoli, se avesse avuto tre scrivanie e tre account Twitter.
Oggi, dopo oltre 4 anni, ho deciso di chiudere questo blog.
È stata un’esperienza importante della mia vita che mi ha procurato molte soddisfazioni (gli inviti su tv, radio e giornali), ma anche molto impegno.
Al di là di considerare nel concreto sostanzialmente inutile questo spazio, ciò che rende irrevocabile questa decisione è la constatazione che l’identità “bimboalieno” ha preso il sopravvento sul suo creatore.
Pertanto questo ultimo post lo scrivo come Andrea Boda, e non come Bimbo Alieno.
Il relativo successo di questo sito, e dell’account twitter collegato, ha distratto le mie attenzioni dalla mia famiglia, dai miei due figli e dalla donna che amo: mia moglie, la vera artefice dell’uomo che sta dietro il nickname.
Non voglio che questo accada ancora, desidero tornare ad essere una persona che si informa perché ne ha bisogno, non che lo fa per esprimere opinioni competenti ad una platea per il brivido di sentirsi uno “stimabile pensatore”.
Grazie a tutti i lettori per il tempo che hanno dedicato alla lettura di questo spazio. Tralasciate pure i commenti mirati a farmi cambiare idea, ho deciso che resterò umano, non sarò più un “alieno”.