Da Fini a Bossi. Sembravano eterni, li abbiamo scordati

Il tramonto di una classe politica

Sembrava immortale, quella classe politica. Figure intramontabili. Illustri ministri e indiscussi leader di partito destinati a guidare il Paese per chissà quanti anni ancora. E invece nel giro di pochi mesi è arrivato il declino. Improvviso e drammatico. L’Italia ha archiviato la sua élite. Che ne è stato di Gianfranco Fini, l’uomo che ha traghettato la destra missina sul grande palcoscenico della democrazia repubblicana? Ministro degli Esteri, vicepremier, presidente della Camera dei deputati. Coraggioso avversario di Silvio Berlusconi, è scomparso nel tentativo di affrancarsi dall’ingombrante ex alleato.

E dove è andato a finire Antonio Di Pietro, forse il principale protagonista della transizione verso la Seconda Repubblica? È stato il volto noto della stagione di Mani Pulite. Esponente di governo, capo incontrastato di un partito forgiato a sua immagine e somiglianza. Da tempo se ne sono perse le tracce. L’epilogo spesso è triste. Come è possibile rimanere indifferenti di fronte alla vicenda politica di Umberto Bossi? Figura carismatica di almeno due decenni di storia italiana. Lui sì, quintessenza del segretario-leader di partito. Avanti nell’età, i suoi lo hanno relegato ai margini del movimento che aveva creato. Ultima infamia, da qualche tempo sulla sua testa pende irrispettosa persino l’ipotesi di un’espulsione dalla Lega.

Destini incrociati. Tornati all’attenzione del Paese proprio in questi giorni, chissà perché. Pier Ferdinando Casini è stato per anni al centro della vita di Palazzo. La sua carriera attraversa gran parte della politica moderna. Dalla Democrazia cristiana all’avvento di Silvio Berlusconi. Presidente di Montecitorio, anche dopo la rottura con il Cavaliere il leader centrista è sempre riuscito a rimanere in sella. Ago della bilancia, personaggio imprescindibile dei retroscena più informati. Ospite d’onore ai tavoli che fino a pochi mesi fa condizionavano l’azione di governo. 

Poi è arrivata l’illusione montiana. La scommessa di una terza via in grado di scardinare il bipolarismo italiano è fallita miseramente. L’alleanza con l’ex premier Mario Monti ha finito per ridimensionare il peso specifico dell’Udc. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Nel giro di poche settimane le tensioni interne alla piccola coalizione sono esplose con fragore. Preso atto che il nuovo contenitore centrista forse non nascerà mai, nei gruppi parlamentari di Scelta Civica sono iniziati a volare gli stracci. Oggi Casini e Monti si vedranno, per un estremo tentativo di ricucire lo strappo. In realtà qualcuno racconta che tra i due sia già in atto l’ultimo braccio di ferro in vista del prossimo divorzio. E i sondaggi non sembrano anticipare un radioso futuro.

Ma il sogno del terzo polo ha rovinato altre carriere. È il caso Gianfranco Fini, recentemente scomparso dalle scene. In realtà il destino politico dell’ex leader di Alleanza Nazionale si è deciso qualche anno fa. Alla fine del 2010 il tentativo di rovesciare il governo Berlusconi era quasi riuscito. Un’operazione politica che – nelle intenzioni di chi l’aveva orchestrata – lo avrebbe consacrato tra gli eroi della democrazia italiana. La storia è nota a tutti. Il passaggio di alcuni “responsabili” tra le fila del Cavaliere ha permesso di sventare all’ultimo il ribaltone. Il declino politico dell’ex delfino di Almirante è iniziato allora. Il tentativo di un’alleanza con Mario Monti ha rappresentato un altro errore. Cannibalizzato persino dai centristi dell’Udc, il nuovo partito di Fini si è dissolto in breve tempo. Scomparso. Oggi mentre i pochi fedelissimi dell’uomo che vent’anni fa ha sdoganato il Movimento Sociale Italiano cercano di riorganizzarsi, il vecchio leader si è chiuso nel silenzio. Chi lo ha incontrato racconta gli evidenti segni della sconfitta. Nello spirito e nel fisico. 

Ma c’è anche chi nel Palazzo è rimasto, come Umberto Bossi. Il segretario della Lega Nord è ancora deputato. La candidatura gli è stata offerta dal suo successore, Roberto Maroni, quasi fosse un’estrema forma di riconoscimento. Del resto Bossi ha fatto la storia politica italiana. Protagonista indiscusso di uno dei fenomeni più interessanti dell’esperienza repubblicana. La Lega Nord, un partito nato dal nulla che il Senatùr ha portato in breve tempo dalle valli padane a Palazzo Chigi. Il seggio a Montecitorio è forse l’ultimo tributo del movimento. Il nuovo corso maroniano ha finito per marginalizzare il vecchio capo. I suoi parlamentari più fedeli sono stati allontanati dal Parlamento. Per Bossi, un tempo intoccabile, è arrivata anche l’onta più impensabile. Da qualche giorno nel Carroccio circola la minaccia della sua espulsione. Una bestemmia, fino a pochi mesi fa. L’anziano leader continua a farsi vedere a Montecitorio. I giornalisti ancora lo incalzano, lui risponde svogliato. L’impressione è che il ruolo che lo ha reso protagonista, ormai abbia stancato anche lui. 

Chi non si arrende è Antonio Di Pietro. Sfumata la rielezione in Parlamento, l’ex pm non ha voglia di farsi da parte. È stato per lungo tempo il campione dell’antiberlusconismo, una delle poche opposizioni all’ultimo governo tecnico di Monti. Poi basta. Le polemiche che hanno portato alle divisioni dentro l’Italia dei Valori e l’avvento di Beppe Grillo ne hanno segnato l’inevitabile tramonto politico. Di Pietro non ci sta. Pochi giorni fa è stato avvistato a piazza Montecitorio. Presente – seppure in disparte – all’adunata del Movimento Cinque Stelle. Il magistrato sogna un’intesa fuori tempo massimo con il blogger genovese? Chissà. «Essere amico di Beppe Grillo non è mica un peccato» si è limitato a rispondere lui. Intanto si prepara al grande ritorno. A fine mese sarà celebrato il congresso straordinario dell’Italia dei Valori. Due giorni fa Di Pietro ha annunciato che il prossimo anno correrà alle Europee. Il segno che i tempi sono cambiati è la dichiarazione di un suo ex fedelissimo. «Di Pietro prenda coscienza del fatto che Idv non c’è più da un pezzo – la reazione di Stefano Pedica – Il partito si è sciolto come neve al sole, e pensare che possa superare la soglia del 4 per cento alle Europee è pura utopia». Una reazione irrispettosa e impensabile, solo un anno fa. 

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