“Delnevo è un martire, esempio per la sua generazione”

L’amico del ragazzo morto in Siria

Usama El Santawy ha la barba lunga e nera che crea un effetto straniante, visto che quando parla ha un puro accento milanese. Fa il presentatore in una tv di Brescia ed era amico di Giuliano Delnevo, il ragazzo italiano morto nei combattimenti in Siria. Lui però lo chiama solo Ibrahim, il suo nome da convertito, anzi da “ritornato all’Islam”, come i musulmani chiamano chi abbraccia la loro religione. Ibrahim amava le arti marziali e i video di addestramento militare.

Come ha conosciuto Giuliano Ibrahim Delnevo?
Mi ha contattato tramite internet, forse con Youtube. Alla prima occasione è venuto a Milano e l’ho indirizzato verso un gruppo di persone che praticavano un Islam “corretto” dove viveva lui, a Genova.

Perché contattare proprio lei?
Perché sono molto attivo nella comunità. Cercava uno scambio di informazioni sull’Islam. I riferimenti spirituali di quel gruppo sono soprattutto sapienti indo-pakistani che vivono in Inghilterra e che si rifanno all’ideologia deobandi. I giornali hanno marciato sul fatto che fosse andato in Inghilterra per un corso. Ma era un corso di religione, non di addestramento militare. Due settimane durante le ferie natalizie per imparare norme basilari ma approfondite sull’Islam: come ci si pulisce, capire i versetti del Profeta.

E come si finisce a combattere in Siria partendo dalle abluzioni?
Era veramente il suo destino, lui non era fatto per parlare di Islam alla gente, ma per fare il soldato. È morto in Siria per difendere dei musulmani arabi, nonostante non avesse simpatia per loro.

Quando lo ha sentito l’ultima volta?
Agosto-settembre dell’anno scorso. Mi aveva chiesto di trovare qualcuno da portare in Siria. Tre mesi dopo è sparito senza dire niente a nessuno. Su Facebook e Youtube non postava più niente.

Qual era la sua idea di Islam?
È difficile inquadrarlo, prendeva quel che riteneva giusto da diverse fonti. Chi non nasce nella cultura islamica fa uno sforzo maggiore per capire la verità. Potevi passare una giornata intera a litigare con lui su una questione religiosa. Dobbiamo per forza dargli un’etichetta? Qaedista? Jihadista?

Ibrahim era vicino ai Fratelli musulmani?
No, non penso. Quello che gli interessava era andare e combattere. Ho letto dai giornali che era in contatto con gruppi di ceceni che lo avrebbero aiutato a entrare in Siria. Penso sia vero. Attraverso suoi contatti o altri amici, perché Internet non è il posto dove pescare i migliori pesci.

Perché vuole far causa ai giornali?
Ci sarebbe da convincere suo padre a intraprendere un’azione legale contro giornali e media in generale che diffamano una persona. Se non fosse stato un musulmano l’avrebbero definito un eroe, che è andato in un paese di disperati ad aiutarli come Madre Teresa di Calcutta.

Ha parlato con il padre?
No, ma ho provato a chiamarlo per fargli le mie condoglianze. Da quello che ho visto è veramente una persona forte, ha elogiato il gesto del figlio nonostante la pensasse in modo opposto. Un padre non musulmano così orgoglioso di suo figlio.

Orgoglioso di un figlio che va a morire in Siria?
Se avesse avuto la possibilità, sarebbe andato in Iraq, in Somalia o in Afghanistan. Voleva fare il soldato per Allah, solo per compiacere Dio. In Siria i sapienti sunniti hanno detto al mondo intero che le porte del jihad, del combattimento, sono aperte. Quindi anche se in modo postumo lui si è trovato legittimato dal punto di vista religioso.

E questo rende la sua morte meno dolorosa?
Noi lo vediamo come uno shahid, un martire, chi combatte sinceramente per la causa. È morto in una terra che Dio ha benedetto, chi muore lì non muore. Ibrahim aveva abbandonato il mondo in cui noi viviamo quando ha deciso di diventare musulmano. Quando tiri fuori la grinta se non a 20 anni? Molti giovani sono passivi, sia musulmani che non. Altri devono in qualche modo sfogarsi. C’è chi lo fa passando i pomeriggi giocando con i videogame…

E chi andando a combattere in Siria?
Ha avuto la fine che gli spettava, una fine dignitosa.

Ha conosciuto ragazzi italiani che volevano fare lo stesso percorso?
Persone non affidabili, solo parole. Non penso minimamente fossero in grado di fare quello che ha fatto Ibrahim. Appena finisce la guerra merita che gli si dedichi una via in tutti centri abitati siriani.

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