La versione di Pupi Avati, l’intellettuale di destra

Nel prossimo film ci sarà Sharon Stone?

Arriva Pupi Avati in un albergo allo splendere del sole del primo pomeriggio. «Hai i capelli troppo lunghi, tagliateli! Sono imbarazzato dal vederti coi capelli così. Trova un barbiere e vai». Un’intervista a Giuseppe Avati detto Pupi, 74 anni più della metà dei quali corrisponde ad un film (partendo ab origine dalla nascita), val bene un taglio. Daccapo. (Rifacciamo, con i capelli sempre lunghi ma notevolmente accorciati).

Incontriamo Pupi Avati in un albergo all’oscurare del buio nella seconda serata. Da un anno e mezzo non lavora per il cinema: nel 2013 andrà in onda il kolossal Un matrimonio (sei puntate) e il 24/11/2013 il tv-movie Il bambino cattivo, per la giornata mondiale per l’infanzia, entrambi su Raiuno. Nel 2014 tornerà al cinema con Un ragazzo d’oro, nuovo film su cui sono uscite indiscrezioni e che per la prima volta, in esclusiva ci conferma: «Abbiamo da più di un anno una trattativa ormai definita con Sharon Stone, per un progetto che riguarda Riccardo Scamarcio e Cristiana Capotondi. Racconta di un padre che aveva l’ambizione di diventare un grande scrittore, è morto senza lasciare nulla e il figlio, per rivendicare la memoria paterna, cercando di far pubblicare il libro, perde il senno». Sharon Stone sarà Ludovica Sterne, l’editrice, e incontrerà lo stesso Avati per la prima volta fra una decina di giorni a Venezia. Se son rose fioriranno, ma ricordandoci che il personale è politico (soprattutto per quanto riguarda Avati) cominciamo l’intervista.

Nella sua autobiografia La grande invenzione (Rizzoli) racconta di essere stato ostracizzato dal cinema perché non di sinistra: in tempi di larghe intese e di movimenti e partiti fuori dal bipolarismo, è ancora così?
Non sono stato penalizzato in quanto “di centro-destra”, perché io in realtà sono di centrodestra e non lo sono: più che altro io non sono di sinistra. Non voglio essere riconducibile ad un’ideologia che mi sta stretta. Le mie origini hanno un imprinting nella Dc: mia mamma era per quel partito consigliere comunale a San Lazzaro di Savena. Ormai i cattolici sono ovunque e, nel mio modo di vedere il cattolicesimo – un po’ integralista – non sono cattolici. Io sono contro i matrimoni gay, l’eutanasia, sono un tipo di cattolico scomodo: non sono compatibile con il Pd e nemmeno con Forza Italia ormai. Non c’è un partito che mi rappresenti, essendo intransigente nella mia dottrina cattolica: forse Magdi Allam.

Tremonti disse che con la cultura non si mangia. Lei però dimostra il contrario: che idea ha del rapporto tra politica e politiche per il cinema in Italia?
Non esiste un cinema di centro-destra, o una cultura di destra, mentre invece dal dopoguerra in avanti la sinistra ha avuto l’accortezza di capire che la cultura era una grande opportunità; i governi democristiani e di centro-destra hanno sempre considerato che, appunto, “con la cultura non si mangi”, lasciando il ministero dei beni culturali come l’ultimo dei ministeri, da affidare al ministro completamente privo di talento e passione. Anche il governo Monti con Ornaghi non ha certamente dato il meglio di sé. Bray non lo conosco. Urbani è stato invece quello che più degli altri qualcosa ha fatto. Fra tutti i ministri dei beni culturali che io ho conosciuto certamente quello con più vocazione è passione e verso cui dobbiamo maggiore riconoscenza è stato Veltroni.

Nel 2010 il suo film Una sconfinata giovinezza fu scartato nelle selezione della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia diretta da Muller: si gridò alla censura politica, lei ebbe molte appassionate difese da parte di Sandro Bondi, all’epoca Ministro dei beni culturali, e Maurizio Gasparri: come le visse?
Mi han fatto molto piacere, però è evidente che nel provincialismo italiano essere difesi da queste persone diventa un problema. Tornatore ha fatto Baaria e Berlusconi disse: «Mi è piaciuto tantissimo». Tornatore ha detto che l’insuccesso di Baaria lo si doveva alle dichiarazioni di Berlusconi. L’appoggio di uno schieramento va oltre la qualità del film.

La politica l’ha mai cercata?
Fu Beniamino Andreatta che venne per la Dc a propormi la candidatura a sindaco di Bologna, nel 1993. Un sondaggio di Repubblica mi considerò il più amato dai bolognesi. Fu una cosa dovuta, non c’era una particolare simpatia nei miei riguardi. Ero cattolico, ed ero il più amato fra i bolognesi. Dissi di no. Poi venne il Pdl mi chiesero di sfidare Delbono, nel 2009, sempre come candidato sindaco a Bologna: non accettai. Per essere politici bisogna saper essere anche litigiosi, transitare attraverso l’inimicizia.

Lei incontrò un protagonista della politica nella sua vita precedente: Beppe Grillo. Come andò?
Risale al 1979, non aveva ancora fatto film. Eravamo a Milano ai Telegatti, io lo avevo vinto per Jazz Band. Venne da me con il suo agente di allora e mi chiese se potevo considerarlo come attore per un film drammatico. Fui meravigliato. Mi faceva abbastanza ridere, ma capii che ci sono certi comici che hanno un’identità così forte che non possono diventare degli attori, dei personaggi diversi da quel che sono. Penso a Villaggio, che è stata un’esperienza non riuscita. O Boldi. Sono personaggi, cabarettisti, non riescono a calarsi in un ruolo. O Benigni: Benigni non è un attore, Benigni fa Benigni.

E ora che il Movimento 5 stelle sta diventando problematico, Grillo cosa dovrebbe fare?
Grillo lo sa di non aver fatto il film della sua vita. Dovrebbe scegliere di fare il film della sua vita. Lo impegnerebbe, sarebbe una scelta un po’ meno demagogica ed urlata: adesso ha fatto una scelta facile.

Potrebbe dirigerlo lei nel film del suo ritorno al cinema, Beppe Grillo, no?
Non credo di avere le spalle sufficientemente larghe per reggere una cosa di questo genere, però ne varrebbe la pena: sarebbe davvero una bella impresa esaltante, che merita. Anche per lui: mandare tutti affanculo e tornare a fare l’attore! Trenta anni dopo lo prenderei, e lo consiglierei pure: lo libererebbe, e tornerebbe a fargli dormire la notte. Il successo che ha avuto gli pesa, è insostenibile e purtroppo glielo faranno pagare. I suoi.

Lei incontrò un altro protagonista della politica nella sua vita precedente: Silvio Berlusconi. Come andò?
Berlusconi l’ho conosciuto nel 1979, sempre ai Telegatti. Venne a parlarmi: mi parve molto egocentrico, senza un minimo di ritegno. Né io né mia moglie gli credemmo, pensavamo fosse un megalomane, un mitomane. Era tutto vero. Anche Lucio Dalla raccontava delle grandissime balle, nessuno ci credeva, dopodiché le cose diventavano tutte vere. Avere dimostrato una qualche simpatia nei confronti di Berlusconi produce solo svantaggi. Mentre la sinistra è culturalmente compattata, il centro-destra è un disastro, considerando la cultura nulla, di nessuna importanza.

Tra gli anni ’70 e gli anni ’80 Maurizio Costanzo fu sceneggiatore per i suoi film e sceneggiati, proprio prima e durante lo scandalo P2: come ricorda quei giorni?
Il periodo dell’inchiesta sulla P2 l’abbiamo vissuta insieme, con Maurizio: era forse la persona più amata d’Italia. Certo qualche vantaggio in quel periodo probabilmente l’ha avuto: diresse un giornale. Siamo ancora amici, ma non posso pensare che abbia complottato contro il paese. Non è la sua natura. Forse era una lobby finalizzata a qualche tornaconto, ma questo in qualunque Rotary è così. Erano persone abbastanza in gamba, pensare che cercassero un colpo di stato mi sembra sottovalutare molto chi vi apparteneva. Lui mi ha raccontato che fu perché aveva sofferto una delusione d’amore: era innamorato di una donna, e sollecitato da un medico suo amico decise di iscriversi. Improvvisamente è stato schiaffato in prima pagina appartenendo a questa loggia a cui si attribuivano tutte le nequizie. È passato dalle stelle alle stalle: non usciva più di casa, beveva bottigliette di alcool, il suo telefono non squillava mai, furono solo due a chiamarlo in quel periodo: Raimondo Vianello e Cicciolina. Furono le uniche due telefonate che ebbe. Allora gli proponemmo di scrivere un film, Zeder.

In Un Matrimonio (Raiuno 2013) racconterà anche la strage di Bologna, recentemente si parla di “pista palestinese”: ha un’opinione in merito?
Se dopo 33 anni sono ancora aperte delle ipotesi… io penso sia azzardato pensare a nuove alternative. A livello inquisitorio abbiamo una magistratura molto modesta. Non è possibile che ci siano tanti misteri. Dovremmo avere la certezza di cosa è stato, non possiamo avere in giro Mambro e Fioravanti liberi, se sono contemporaneamente anche quelli che han portato le valigie con la bomba. Una cosa vergognosa.

Lei ha lavorato con Pier Paolo Pasolini come co-sceneggiatore di Salò o le 120 giornate di Sodoma, il suo ultimo film: che idea si è fatto della sua morte?
Pensare che sia un omicidio politico mi sembra un po’ ardito. Per quello che l’ho conosciuto io credo che Pasolini fosse una persona che amava molto il rischio, una componente della sua ebbrezza. Quei ragazzetti lì, quel litorale di Ostia era un insieme di rischi che probabilmente lui cercava. Ma non arrivo a dire che se l’è cercata.

Lo disse il poeta e critico letterario Edoardo Sanguineti.
Io no. 

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