“Lotta-dura-contro-natura!”. Nel 1976, al Festival del Proletariato Giovanile (Parco Lambro di Milano) questo grido non piacque a molti. Era un paradosso. Ma chi l’aveva lanciato era abituato ai paradossi. Li usava come strumenti di pensiero e di vita. Mario Mieli era già allora uno dei più noti attivisti per i diritti degli omosessuali. Non solo a Milano.
«Aveva un’intelligenza unica», ricorda con Linkiesta Corrado Levi, classe 1930, artista, architetto, docente universitario, tra i padri del movimento gay in Italia. «Sapeva sintetizzare in tre parole quello che elaboravamo nelle nostre sedute di autocoscienza. Una qualità da vero leader». Levi è stato, insieme al cantante Ivan Cattaneo, uno degli ospiti d’onore di “Rebel Rebel”, incontro che il 27° Festival Mix di Milano (al teatro Strehler) ha dedicato al ricordo di Mario Mieli, scomparso esattamente trent’anni fa.
Un omaggio obbligato, in quella che è la più importante rassegna italiana di cinema gaylesbico e queer culture. Il sito del Mix definisce Mieli «grande star naturale e teorico del movimento gay italiano». Un intellettuale innovatore, come viene ricordato nella sala del teatro Strehler. Una fama costruita in appena trent’anni di vita, prima di scomparire suicida nel 1983. In cartellone al Mix c’erano filmati rari, se non introvabili. A partire da Una favola spinta, film per la tv di poco più di un’ora prodotto da Rai 3 nel 1984, scritto da Mieli con il regista Guido Tosi (la Rai di oggi si lancerebbe in operazioni simili?). Nel cast, anche due giovanissimi attori del Teatro dell’Elfo: Claudio Bisio e Paolo Rossi. È la storia di un ragazzo ribelle, rapito dal padre industriale per farne un erede come si deve. Vicenda con origini autobiografiche: Mario era figlio di una ricca famiglia ebrea della borghesia industriale lombarda e, come il protagonista del film, ebbe rapporti assai contrastati con i genitori.
Si sono poi visti, durante “Rebel rebel”, spezzoni di interviste e servizi televisivi. Uno di questi (un programma d’approfondimento che, visto il tema, fu relegato in seconda serata: ottenne lo stesso un alto indice d’ascolto) mostrava le immagini della contestazione al Festival della Sessuologia di Sanremo, nel 1972. Di ispirazione cattolica, il Festival presentava l’omosessualità come una devianza sessuale da curare con “terapie d’avversione”. La protesta, che vedeva in prima linea Mieli e il torinese Angelo Pezzana, fu il primo atto pubblico del “Fuori: Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano”.
Mieli e Levi si conobbero subito dopo: «A San Babila. Indossava un lungo abito marrone e una stella di brillanti rubata alla madre». Il professore, che aveva il doppio degli anni di Mario, lo ricorda ancora con enorme emozione: «Mi ha cambiato la vita. Mi ha tolto dal rimorso e mi ha dato la felicità dell’azione». Una liberazione. Ovvero una rivoluzione, come il movimento predicava fin dal nome. «Noi volevamo, insieme alle femministe, un cambiamento radicale della società», ricorda Levi. «Un’alternativa, non un’integrazione. Rifiutavamo l’inserimento nel mondo maschile e nel potere». «Come sono cambiati i tempi!», esclama Cattaneo. «Chi l’avrebbe mai detto che saremmo finiti a parlare del mettere su famiglia con figli? Noi neanche volevamo usare il preservativo…».
Delle istanze del Fuori (da cui uscì nel 1974, per la fusione col Partito Radicale), Mario Mieli fu il portavoce più attivo. «Da marxista di rigore quasi fantascientifico, il “personale” per lui non poteva essere che politico», spiega Cattaneo. Per questo, l’intera sua esistenza era diventata «un teatro di sperimentazione» (c’entra anche il teatro vero, visto che fondò una compagnia. Spettacolo più famoso: La Norma, ovvero: vaffanculo…ebbene sì, 1977). Partire da sé, sempre, per condividere teoria e pratica. Un’atteggiamento che, secondo Levi, lo rendeva una guida «semplicemente nell’esserci».
Tra i tanti episodi emblematici, è rimasta famosa la sua intervista agli operai dell’Alfa Romeo, su comportamenti sessuali e tolleranza in fabbrica. Titolo: Diversi di periferia. La prima volta in cui la Rai accettò di parlare apertamente dell’omosessualità, ha ricordato il regista Nereo Rapetti a “Rebel Rebel”. Una scena quasi improvvisata, con Mario che, a sorpresa, si presentò ai cancelli in tuta lavorativa e tacchi a spillo. Si vestiva da femmina, Mario, perché non riconosceva il bisogno di una distinzione maschile/femminile nell’abbigliamento, specchio per lui di convenzioni ben più gravi. Anche dai vestiti passava quello che chiamava «il gaio compito di reinterpretare tutto». Compito che ebbe anche un risvolto accademico: gli Elementi di critica omosessuale pubblicati da Einaudi nel 1977, nati dalla tesi di laurea in Filosofia Morale. Un testo importante per le teorie di genere in Italia, che impose Mieli come teorico del movimento omosessuale.
Non mancarono momenti controversi. I più clamorosi implicano addirittura la coprofagia. «Ci arrivò con una lettura psicoanalitica, che assimila la merda all’oro», spiega Levi. Sul sito www.mariomieli.net sono raccontati così: “Si esibì più volte gustando merda e bevendo il proprio piscio pubblicamente (…) come a farsi forte di quella merda con cui una società bigotta, borghese e clericale aveva tentato di coprirlo». Protesta estrema.
Corrado Levi ha ben presente la bizzarria di certi comportamenti. Ma sostiene che Mario «ci credeva come non ci credeva. Provocava sempre per cambiare qualcosa. Ma con un sorriso che non sapevi mai se era rivolto agli altri o a se stesso. Manteneva un fondo di ambiguità. E l’ambiguità è il sale della vita».
Misterioso, più che ambiguo, fu il periodo finale della vita di Mieli, segnato da una vena di misticismo, ben oltre la razionalità impostata dai suoi studi filosofici. «Si isolò molto negli ultimi tempi», ricorda Levi. Lui stesso lo perse di vista. «Eppure, anche allora precorse i tempi. L’ha vista la Biennale di Venezia di quest’anno? È tutta incentrata sull’inconscio, sul sogno, si cita Jung…una dimensione onirica che Mario allora seguiva, anche facendo uso di allucinogeni». Ma chi oggi rievoca Mieli lo lega più al contesto di rottura degli anni Settanta: «Era un’altra epoca» ammette Levi. «Basta pensare ai personaggi: da Che Guevara a Kennedy, a Papa Giovanni. E nell’arte, da Pollock all’arte informale… oggi, resta un’eco». Un’eco. E qualche occasione per ricordare e riflettere. Anche se qualcuno avanza un dubbio: troppa memoria, per i collettivi omosessuali, potrebbe significare mancanza di creatività.