Giovedì 20 giugno è stato presentato a Roma il nuovo think-tank della famiglia liberale italiana, l’associazione “Italia aperta”. Sotto le sue insegne si stanno radunando tanti dei “figli” dispersi in diverse formazioni politiche: da Pietro Ichino e Benedetto Della Vedova, senatori di Scelta Civica, ad Alessandro De Nicola e Alberto Saravalle, già fondatori di Fermare il Declino; dal democratico Enrico Morando al presidente di Italia Futura Nicola Rossi; dall’ex Pdl Giuliano Cazzola a Stefano Parisi, Presidente di Confindustria digitale, e Carlo Stagnaro, direttore dell’Istituto Bruno Leoni. E l’elenco potrebbe continuare.
Alessandro De Nicola – presidente dell’Adam Smith Society, uno dei 12 primi sottoscrittori e ideatore dell’iniziativa – mette subito in chiaro un punto: «Non siamo un partito e non vogliamo diventarlo». Si vuole insomma evitare di ricalcare le orme di Fermare il Declino, “manifesto programmatico” diventato una forza politica in vista delle scorse elezioni, e poi andato in crisi tra scandali e risultati insoddisfacenti.
Avvocato De Nicola, come nasce il progetto di “Italia aperta”?
Due mesi fa, subito dopo le elezioni, ci siamo trovati a parlare tra amici – con Pietro Ichino ed Enrico Musso all’inizio, ma subito si sono aggiunti altri come Carlo Scarpa o Ugo Arrigo – e ci siamo trovati d’accordo nel rilevare quanto fossero scarse le prospettive per le idee liberali in Italia. Non ci sembrava che ci fosse la volontà di dare spazio alle istanze a favore del mercato, della concorrenza, delle libertà economiche. Così abbiamo dato vita a questa associazione, di cui Enrico Musso è il coordinatore.
E come pensate di agire?
Abbiamo pensato a uno strumento, quello delle “pagelle” alle politiche pubbliche – sia a livello nazionale che locale – che servisse a creare un patrimonio di policies già definite su svariati argomenti, un programma liberale già pronto.
Se si parla di programmi, viene spontaneo pensare a un partito…
No, ribadisco che non siamo intenzionati a creare un altro partito. Noi vogliamo contribuire al dibattito e fornire strumenti che possano essere utili a chiunque se ne voglia servire. Speriamo che i nostri spunti vengano sfruttati da forze politiche, ma anche da decisori pubblici, che li traducano in politics. Con le nostre “pagelle” vorremmo poi suscitare l’attenzione dell’opinione pubblica su scelte che riteniamo sbagliate e incentivare invece quelle giuste, dando anche “voti” alti. Ad esempio, se il governo facesse una legge simile al “Freedom of Information Act” (la legge americana sulla trasparenza della pubblica amministrazione), noi gli daremmo 10. Infine, poiché non bisogna fare doppioni, saremo lieti di approfittare dell’ottimo lavoro che svolgono fondazioni come Italia Futura, l’Istituto Bruno Leoni, il Centro Einaudi e l’Adam Smith Society.
In base a che criterio pensate di dare questi “voti”?
Abbiamo deciso di prendere come benchmark l’indice di competitività della Banca Mondiale. Ma avendo deciso di operare anche a un livello molto locale – consentendo così l’attivazione di molte più persone, e un dibattito molto più vicino alla quotidianità dei cittadini – saranno necessari degli adattamenti.
In “Italia aperta” si stanno riunendo liberali e liberisti di varia provenienza, ma non c’è l’intenzione di farne un partito. Non c’è il rischio che restando divisi finiscano a fare le “mosche cocchiere” delle altre forze politiche?
Io penso che far lavorare insieme i singoli individui che appartengono all’area liberale, su problemi estremamente concreti, sia il modo migliore per creare un patrimonio comune. Partendo da qui, diciamo in modo “evoluzionistico”, potrebbero partire gli stimoli per chi volesse creare una forza liberale unificante. Perché il punto è che in Italia l’elettorato interessato a una proposta politica liberale è molto vasto, ma prima deve essere razionalizzata. Questo è uno degli obiettivi che perseguiamo.
Lei pensa che ci sia addirittura un “vasto” elettorato potenziale per una forza liberale?
Io credo che tantissimi italiani, forse la maggior parte, sia d’accordo sul fatto che la pressione fiscale ha raggiunto un livello intollerabile, che i servizi vadano resi più efficienti con iniezioni di concorrenza nel sistema, che la burocrazia vada snellita, che gli sprechi del settore pubblico vadano ridotti ed eliminati. Direi che spazio per le ricette liberali ce n’è eccome.
Qual è il rapporto di “Italia aperta” con Fare per Fermare il declino? C’è concorrenza?
Assolutamente no. Noi siamo un’associazione, Fare é un partito. Si può tranquillamente essere iscritti a entrambi i soggetti. Il malinteso che poteva sorgere sulla concorrenzialità con Fare e il suo presidente, Boldrin é stato rapidamente chiarito. Io continuo a partecipare all’attività di Fare, quando mi chiedono di pubblicare un articolo o di intervenire ad un dibattito. Alcuni dei firmatari di “Italia aperta”, come ad esempio Alberto Bisin, Luciano Mauro o Fabio Scacciavillani, oltre ad essere ottimi economisti sono anche amici di lunga data del nuovo presidente. Insomma, nessuno “strappo” o “scissione”, siamo due soggetti distinti che coesistono. D’altronde le pare che i 4 parlamentari di Scelta Civica che hanno firmato, persone di alta qualità e reputazione, potrebbero essere interessati a un’operazione di questo genere?
Quando diventerà operativo questo nuovo think tank?
Dopo la presentazione di giovedì a Roma ce ne sarà sicuramente un’altra a Milano e forse anche in altre città. Intanto stiamo per lanciare il sito www.italiaperta.it, le pagine di facebook e twitter etc. Si dovrebbe cominciare a produrre subito, partendo magari da questioni locali e periferiche, che comunque saranno controllate a livello centrale. Prima delle vacanze estive inizieremo a dare le nostre “pagelle”.
Twitter: @TommasoCanetta, @aledenicola