Un intervento per difendere il proprio operato e la propria storia. L’intervento del titolare della Farnesina Emma Bonino davanti alle commissioni Esteri e Diritti umani di Palazzo Madama, ha un fine: chiarire la sua posizione nell’imbarazzante affaire Shalabayeva. E i dubbi che si sono accumulati in queste settimane sono molti. Al centro della lunga relazione cronologica degli eventi, la spiegazione del motivo per cui ad informarla dell’espulsione della moglie e della figlia del leader dissidente kazako è stata una Ong. I rapporti al governo – e nello specifico con il titolare dell’Interno – sono così freddi da risultare inesistenti? E perché, lei paladina dei diritti umani, non ha fatto nulla di eclatante negli ultimi due mesi per denunciare la vicenda? Ma soprattutto, avrebbe potuto fare qualcosa? Queste le domande che ha dovuto affrontare il ministro, nell’illustrare ai senatori anche le prossime mosse del governo italiano.
Certo, la complicata vicenda internazionale non si chiuderà a breve. In Parlamento sono ancora molti – specie nel Pd – a chiedere ulteriori chiarimenti. Ma per Emma Bonino l’audizione rappresenta un momento , forse la conclusione di un periodo particolarmente difficile. Uno dei più difficili da quando rappresenta le istituzioni. Il ministro ha vissuto particolarmente male questi due mesi, non è un mistero. Lei, sempre in prima linea per i diritti delle donne e la democrazia, accusata senza mezze misure di essersi messa al servizio di un dittatore. Proprio lei, che appena avvertita del caso si è mossa in prima persona, trattando direttamente con i legali di Alma Shalabayeva. E non è un caso se ieri Madina Ablyazova, l’altra figlia di Alma, ha voluto ringraziare proprio la Farnesina, e nello specifico il ministro Bonino, «per gli sforzi che ha fatto e continua a fare, nell’interesse di mia madre e mia sorella». Non è l’unica a scommettere sul comportamento del ministro. La presidente dell’associazione “Pari o dispare”, che conosce da tempo la leader radicale, lo ha scritto in una lettera privata anche alla signora Shalabayeva. «Non mollerà. Non l’ha mai fatto. Sono sicura che con la stessa ostinazione vorrà capire anche cosa è successo per davvero e che sentirà come suo dovere anche farlo sapere a noi cittadini, che vorremmo conoscere come e da chi questa espulsione sia stata richiesta, approvata, condotta».
Per Emma Bonino, le accuse di queste settimane sono quasi un paradosso. Lei, così grintosa, accusata di essere stata troppo debole con l’ambasciatore kazako. Alla guida di un ministero ormai allo sbando, già al centro delle polemiche per l’inquietante caso dei marò detenuti in India. E così negli ultimi giorni la titolare della Farnesina ha perso la pazienza. «Ci sono ancora dei punti oscuri che altre istituzioni dovranno chiarire» spiegava polemica lunedì scorso, mentre era a Bruxelles per il consiglio degli Affari esteri. Nervosa con i colleghi di governo – per primo Angelino Alfano – ma anche con un apparato che l’ha tenuta per lunghi tratti all’oscuro di quello che stava succedendo. Eppure mai vicina alle dimissioni, come invece qualcuno ha ipotizzato. Il presidente Giorgio Napolitano è riuscito in extremis a farla rimanere al suo posto, come raccontano i bene informati? «Macché. Al passo indietro Emma non ha mai pensato – rivela chi la conosce bene – E perché avrebbe dovuto?».
Donna tosta, Emma Bonino. «Una piccola, gracile, italiana del Nord, con i suoi occhiali fuori moda» la descriveva qualche anno fa il Frankfurter Allgemeine. Sottolineando subito dopo: «Piena di energia, non si arrende mai davanti al più forte». Energica sì, ma riservata. Il ministro parla con difficoltà della sua vita privata. Originaria di Bra, nel Piemonte. Cresciuta in una fattoria, seconda di tre figli. Dopo una breve parentesi a Milano, dove si laurea in Lingue alla Bocconi, diventa romana d’adozione. Oggi abita in un appartamento vicino al Senato, anche se il cuore, forse, l‘ha lasciato in Egitto. È lì che si trasferisce nel 2001. All’epoca è una parlamentare europea, tra Strasburgo e Bruxelles riesce a ritagliarsi almeno dieci giorni al mese da trascorrere sull’altra sponda del Mediterraneo. È in Egitto che Emma Bonino inizia a studiare la lingua araba. Che oggi, con un po’ di orgoglio, ammette di conoscere a sufficienza per «seguire le trasmissioni di Al-Jazeera e leggere i principali quotidiani del Medio Oriente».
Sempre controcorrente, eppure sempre all’interno delle istituzioni. I Palazzi che contano li conosce bene, tutti o quasi. Dalla Farnesina alla vicepresidenza del Senato (poltrona che ha occupato fino a sei mesi fa). E ancora, ministro per il commercio internazionale e le politiche Ue nell’ultimo governo Prodi. Deputata, senatrice, parlamentare europea. Nel 1994 – nominata dal primo governo Berlusconi – Emma Bonino diventa Commissario europeo per gli aiuti umanitari, la politica dei consumatori e la pesca. Nella lunga lista di incarichi le manca il Quirinale, anche se da tempo viene sistematicamente candidata anche alla presidenza della Repubblica.
E adesso la sua storia rischia di rimanere indelebilmente macchiata dall’imbarazzante vicenda kazaka, dice qualcuno. Difficile, anche se molto dipenderà dall’audizione di oggi. Di certo la carriera di Emma Bonino ne ha vissute tante di brutte avventura. Perché quello del ministro degli Esteri è un curriculum scandito dalle battaglie di civiltà, ma anche dagli arresti. È il 1975 quando – all’epoca militava nel CISA, il Centro per l’informazione, la sterilizzazione e l’aborto – si consegna alle autorità italiane dopo un breve periodo di latitanza. Colpevole di “procurato aborto” finisce in carcere. Diventerà uno dei protagonisti della campagna per la legalizzazione dell’interruzione di gravidanza. Neppure un anno dopo Emma Bonino entra in Parlamento. Il Partito radicale decide per la prima volta di presentarsi alle Politiche – le capolista sono tutte donne – lei conquista un seggio alla Camera con Marco Pannella, Adele Faccio e Mauro Mellini. Sarà il primo di una lunga serie: nel corso degli anni sarà eletta altre otto volte, fino all’ultima legislatura.
Il secondo arresto risale al 1990. Stavolta Emma Bonino finisce nelle carceri statunitensi. Viene arrestata a New York mentre distribuisce siringhe sterili, mentre sta manifestando «per denunciare l’assurdità della legge americana che – in una città dove vivono 175mila tossicodipendenti – impone la prescrizione medica per la semplice vendita di siringhe» ricorda sul suo sito. Sette anni più tardi sarà la polizia religiosa dei Talebani a fermarla. In missione in Afghanistan da commissario europeo per «verificare l’efficacia dei programmi umanitari dall’Ue», viene arrestata assieme alla delegazione che guida. Rilasciata qualche ora dopo, inizierà una lunga battaglia contro il regime talebano.
Tra un fermo e l’altro, una serie impressionante di battaglie. A rieleggere il curriculum di Emma Bonino se ne estrapola una lista così lunga da risultare quasi incredibile. Dalle mine antiuomo al Tibet, passando per la questione femminile, i diritti umani, la fame. E le più note sull’aborto, il divorzio, la pena di morte. Sempre alla guida del movimento radicale. Lei e Marco Pannella, i numi tutelari del partito. Forse persino i padroni. «Non mi sono mai innamorata di lui, né lui di me» ricordò in un’intervista. Più che amanti, amici, confidenti, complici. E talvolta anche avversari: «Con due caratteri così forti è inevitabile che il rapporto sia anche conflittuale» raccontano a via di Torre Argentina. Pannella le è stato vicino anche stavolta. Difendendo pubblicamente il ministro degli Esteri, sostenendo privatamente la compagna di una vita.