«Il governo non rischia», assicura dal bunker di Palazzo Grazioli Silvio Berlusconi. «Nessun terremoto in vista» si autoconforta dalla Grecia il premier Enrico Letta. Intanto la pressione sale. Le tensioni per l’imminente sentenza della Cassazione sul processo Mediaset riempiono le giornate di Palazzo. Il rinvio a domani sera – ma l’avvocato del Cavaliere Franco Coppi conferma che il responso potrà slittare a giovedì – obbliga politici e giornalisti a prendere in considerazione diversi scenari. Inevitabilmente si finisce per pensare al “dopo”. Specie tra i berlusconiani, nessuno vuole farsi trovare impreparato. Le lunghe ore dell’attesa servono anche per studiare le reazioni al pronunciamento della corte.
E se arrivasse una condanna? Il Cavaliere costretto ai domiciliari, interdetto dai pubblici uffici e allontanato dal Parlamento. Nel Pdl a molti viene un brivido solo a pensarci. «Domani può essere l’ultimo giorno della democrazia» lanciava l’allarme ieri sera la dirigente Daniela Santanchè. Nonostante gli appelli alla calma dell’ex premier, tra i fedelissimi si studiano le contromosse. Non è un mistero che il partito sia diviso tra irriducibili falchi e ragionevoli colombe. Da una parte chi è pronto a rovesciare il tavolo, «perché è evidente che il governo delle larghe intese non è servito a pacificare il Paese», dall’altra chi non vede alternative all’esecutivo. Intanto si susseguono le ipotesi sul day after. Qualcuno è pronto a chiedere la sospensione dei lavori parlamentari. I più estremisti immaginano addirittura dimissioni di massa. I 97 deputati e 91 senatori via dalle Camere, protagonisti di un nuovo Aventino. Sulle aspettative di tanti continua ad aleggiare il fascinoso richiamo della piazza. Magari con un imprevisto coup de théatre: una pacifica invasione davanti al Quirinale.
Suggestioni, sia chiaro. Perché alla fine a decidere sarà il Cavaliere. E a sentire più di qualche berlusconiano, il leader non sembra avere alcun vantaggio a mettere in discussione il governo. Almeno per ora. Se ci sarà un’iniziativa – e non è affatto detto che ci sia – sarà concordata dall’alto. Nessuna fuga in avanti. Da questo punto di vista il partito è unito. Al netto di tutte le ipotesi che girano in queste ore bisogna attendere la reazione del diretto interessato. Di fronte a una condanna Silvio Berlusconi confermerà il profilo da statista? A prevalere sarà la razionalità o l’amarezza per l’ultimo atto di quella che viene considerata senza mezzi termini una persecuzione giudiziaria?
Nel frattempo i fedelissimi si organizzano. Qualcuno immagina l’effetto di una sospensione dei lavori d’Aula. C’è anche un precedente, proprio legato al processo Mediaset. Il 10 luglio scorso la decisione della Cassazione di calendarizzare il procedimento nel giro di tre settimane aveva scatenato la dura reazione dei gruppi parlamentari del Pdl. Uno sfogo confluito nella richiesta di sospendere l’attività delle Camere per le opportune “riflessioni”. Ironia della sorte, al centro delle polemiche era finito il Partito democratico. Criticato per non essersi opposto all’iniziativa. Una nuova richiesta di sospensione sarebbe vissuta nel centrosinistra come una provocazione. E a pagarne le conseguenze potrebbe essere il partito di Guglielmo Epifani, già in agitazione per le burrascose vicende precongressuali.
Più difficile immaginare un Aventino berlusconiano. Anche se in Transatlantico – così si racconta – c’è chi pensa persino a quello. Un gesto plateale. Tutti i parlamentari berlusconiani fuori dal Palazzo, per lasciare deserti gli scranni sulla parte destra dell’emiciclo. Voi condannate il Cavaliere e noi abbandoniamo il Parlamento. Via, per denunciare nella maniera più rumorosa possibile quello che a via dell’Umiltà viene considerato un attentato alla democrazia. Già, ma poi che succede? «Succede che subentrano i non eletti – sorride qualche deputato – E prendono il nostro posto». E non è detto che le new entry preferiscano rinunciare all’inatteso stipendio per solidarietà al leader.
Le ipotesi si susseguono, spesso senza troppe conferme. Nel caos dell’attesa qualcuno immagina soluzioni ancora più estreme. E se a lasciare fosse la delegazione pidiellina al governo? Per l’esecutivo sarebbe probabilmente la fine. A prendere in considerazione il passo indietro sono alcuni diretti interessati. È il caso del sottosegretario alla Funzione Pubblica Gianfranco Miccichè, che solo pochi giorni rivelava a un noto programma radiofonico: «Se condannano Berlusconi è guerra. In tanti nell’attuale centrodestra non sono disponibili a stare buoni». La collega Michaela Biancofiore, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ha già deciso. «Se la Cassazione condanna Berlusconi – le sue parole qualche ora fa – mi dimetto. È un gesto di solidarietà nei suoi confronti». Quasi una gara di vicinanza al capo, a cui pochi nel Pdl sembrano sottrarsi.
Ma non è necessario alzare la voce. Tra i deputati che attendono il verdetto alla Camera, c’è chi delinea lo scenario forse più pericoloso per il governo Letta. Una guerriglia parlamentare senza sconti all’esecutivo. Ovviamente non da subito. Scottato dalla condanna della Cassazione, in autunno Berlusconi potrebbe decidere di mettere il governo con le spalle al muro. Basta compromessi. Gli argomenti non mancano: Iva, Imu, giustizia, riforme costituzionali, legge elettorale. Un modo come un altro per decretare la fine delle larghe intese – ma a quel punto il Cavaliere ne avrebbe veramente convenienza? – senza il pretesto della condanna in Cassazione.
Il Palazzo, ma anche la piazza. Inutile dire che in caso di condanna c’è chi sogna di organizzare una grande manifestazione. Una folla oceanica per denunciare l’offensiva della magistratura. Ancora una volta gli scenari viaggiano sui 140 caratteri di un tweet. «Un minuto dopo la condanna ritroveremo il popolo…» ammoniva stamattina Daniela Santanchè. Gli elettori berlusconiani aspettano solo di essere convocati. Magari per dare vita a un gesto teatrale. Il più suggestivo di tutti – rigorosamente non confermato – porta a Piazza del Quirinale. Un’adunata di parlamentari e fedelissimi tra la fontana dei Dioscuri e la residenza del Presidente della Repubblica. Non sarebbe neppure una novità. Solo quattro mesi fa, per denunciare gli attacchi delle toghe, 150 parlamentari pidiellini si erano presentati davanti al Palazzo di Giustizia di Milano.