«In ambito di spionaggio non esistono alleati»

Il “Datagate” investe l’Unione europea

«Tra alleati non ci si spia», ha ammonito ieri il commissario europeo alla giustizia, Viviane Reading. Ma la distanza tra desideri e realtà, in base alle ricostruzioni che circolano, sembra essere enorme. L’ultima pagina dello scandalo “Datagate”, nato dalle rilevazioni della talpa della Nsa (National secuirty agency) Edward Snowden, riguarda una vasta attività di spionaggio condotta dall’intelligence americana nei confronti di cittadini europei, sedi diplomatiche in territorio statunitense e istituzioni comunitarie, a Bruxelles e forse non solo.

Lo rivela il settimanale tedesco Der Spiegel che, oltre ai files di Snowden, cita anche un’inchiesta portata avanti dai responsabili della sicurezza delle istituzioni comunitarie. Cinque anni fa era emerso che le comunicazioni da Palazzo Justus Lipsius (sede del Consiglio della Ue) erano intercettate. Adesso si apprende che le intercettazioni erano gestite da una delle aree schermate accanto al quartier generale della Nato, nella vicina Evere, dove la Nsa si era installata.

Le reazioni a livello europeo sono state molto dure. Martin Schulz, presidente dell’Europarlamento, parla di «scandalo enorme» e il commissario Reading arriva ad ipotizzare possibili ripercussioni sul nascituro accordo di libero scambio tra Usa e Ue. A livello nazionale tutti gli Stati europei hanno fatto sentire la propria voce per chiedere spiegazioni – anche l’Italia col presidente Napolitano – e in Germania il ministro della giustizia Sabine Leutheusser-Schnarrenberger ha evocato le «azioni fra nemici durante la guerra fredda» per descrivere l’atteggiamento statunitense. «Lo spionaggio è un’attività segreta – spiega Claudio Neri, direttore scientifico dell’Istituto italiano di studi strategici Niccolò Machiavelli – che si fa ma non si dice. Quando esce dall’ombra è giusto e normale che susciti reazioni anche forti, ma si tratta più che altro di un gioco delle parti».

Lei quindi ritiene che, al netto dei toni aspri di questi giorni, non ci saranno serie ripercussioni sui rapporti tra Stati Uniti ed Europa?
Ci saranno delle ovvie conseguenze diplomatiche. Gli Usa dovranno dare spiegazioni ai massimi livelli ora che la questione è diventata di pubblico dominio. Tuttavia non penso che ci saranno strascichi particolarmente gravi. In particolare la minaccia di sospendere l’istituzione di un’area di libero scambio con gli Stati Uniti mi sembra improbabile.

Cosa glielo fa dire?
Da un lato il nostro legame strategico con gli Stati Uniti è talmente stretto che azioni tanto gravi sono quasi impensabili. È nostro interesse portare avanti questo accordo al fine di non essere tagliati del tutto fuori dal cosiddetto “shift” verso l’area Asia-Pacifico. Il rischio geoeconomico che correremmo sarebbe di diventare periferici in un mondo il cui baricentro economico è sempre più spostato verso l’Asia. Dall’altro, come dicevo, quello dello spionaggio americano è un non-segreto. In molti sapevano, o sospettavano, ma sono argomenti di cui non si parla. Adesso magari assisteremo a delle schermaglie diplomatiche, a dei rinvii o ritardi a proposito dell’area di libero scambio, ma alla fine dubito ci saranno conseguenze effettive.

Secondo lei si sapeva che gli Stati Uniti spiassero i propri alleati?
Chiariamo un equivoco: in ambito di spionaggio non esistono alleati. Questo perché l’attività di intelligence non è di per sé ostile. Serve principalmente a raccogliere informazioni strategiche. Chi può farlo, lo fa. Quindi sì, non è un segreto che gli Stati Uniti sorveglino anche i Paesi con cui sono politicamente alleati. Ma si pensi anche al caso di Israele: è abbastanza scontato che il Mossad rastrelli informazioni anche spiando i propri alleati americani.

Ma perché gli Stati Uniti dovrebbero spiare l’Europa?
Siamo un loro partner fondamentale, è ovvio che siano interessati ad avere quante più informazioni possibile. Dopo l’11 settembre si è diffusa la falsa convinzione che l’attività di intelligence abbia l’unica, o comunque principale, funzione di antiterrorismo islamico. Questo è stato vero solo per un periodo limitato di tempo. Il principale scopo dell’intelligence è un altro, cioè quello di raccogliere informazioni su governi, eserciti, istituzioni economiche degli altri Paesi. L’Europa quindi, che sta oltretutto attraversando un momento di grave crisi, è normale che interessi all’America. Che decisioni vengono prese dalla Bce, quali sono i diversi atteggiamenti in campo rispetto a possibili accordi commerciali, quali le strategie di medio periodo, sono tutte questioni su cui una superpotenza vuole sapere il più possibile.

In questo scenario come si muove l’Europa?
Paghiamo una serie di tare del passato. Dopo la seconda guerra mondiale abbiamo sfruttato il fatto che la nostra sicurezza fosse garantita dagli Usa, intelligence inclusa. Poi, terminata la guerra fredda, si è diffusa la percezione che fossimo approdati a una situazione di pace perpetua, dove l’unico elemento fondamentale delle relazioni internazionali era l’economia e non la forza. Si tratta di un’illusione, purtroppo diffusa anche a livello di classe dirigente europea come alcune reazioni a questo scandalo sembrano testimoniare. Sarebbe necessario sfruttare “occasioni” come questa non tanto per ridiscutere il nostro rapporto con gli Stati Uniti quanto per capire che anche l’Europa deve avere una propria “forza”, militare e di intelligence, per avere più peso nei rapporti tra potenze. Invece stiamo assistendo a un sempre maggiore scollamento tra le due sponde dell’Atlantico.

In che senso?
Dopo la caduta dell’Urss, come dicevo, l’Europa ha avuto un atteggiamento circa le politiche di sicurezza sempre più “debole” rispetto a quello degli Stati Uniti. È una tendenza di medio-lungo periodo che, al di là del “gioco delle parti” di cui accennavo, spiega in parte le reazioni europee. La Germania, da dove sono arrivate alcune delle dichiarazioni più piccate su questa vicenda, è capofila di questo atteggiamento divergente dall’alleato americano. Inoltre, essendo lo Stato economicamente più forte in Europa, è anche emerso che è tra gli obiettivi a cui l’America rivolge maggiori attenzioni.

Per quanto riguarda l’Italia, il Guardian ha pubblicato, ritirato e pubblicato nuovamente un articolo secondo cui noi e altri Stati europei passiamo informazioni alla Nsa. Come valuta la notizia?
Non credo che i nostri servizi forniscano informazioni riguardanti i propri cittadini, senza alcun filtro di legalità, a un’intelligence straniera. Gli scambi di dati che ci sono stati, in base a quanto dichiarato dalle autorità italiane, pare rientrassero nell’ambito di operazioni regolate dal diritto.

Cos’altro ci possiamo aspettare in questo “Datagate”?
È difficile fare pronostici. In casi di leaking come questo escono singoli documenti, frammenti di informazioni che non consentono di delineare un quadro generale. È molto facile che ci siano interpretazioni sbagliate, magari basate su una singola tessera del puzzle. E poi, con la variabile di nuovi documenti segreti che possono essere svelati da un momento all’altro, la situazione è in costante evoluzione. 

Twitter: @TommasoCanetta

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter