Syd Barrett, Il diamante pazzo del rock
di Filippo Neri, Claudio Fabretti
Syd Barrett è stato il primo leader dei Pink Floyd, nonché l’eminenza grigia dell’intero movimento psichedelico d’oltremanica (e non solo). E’ praticamente impossibile elencare tutte le band che in qualche modo hanno tratto ispirazione dalle visioni lisergiche del “testamatta” di Cambridge. Eppure, i suoi due lavori solisti (entrambi pubblicati nel 1970, su etichetta Harvest) sono stati anche l’ultimo fuoco di fiamma di un uomo sconfitto, che si avvicinava alla fine della sua creatività. Concepiti in uno stato progressivo di depressione, gestito incautamente con massicce dosi di uno psicofarmaco potente come il Mandrax, segneranno in un certo qual modo il distacco definitivo tra l’universo di Barrett e il mondo reale.
Barrett era l’anima creativa della prima incarnazione floydiana, quella non ancora miliardaria, che si divertiva a sperimentare, tra ballate acustiche, filastrocche stralunate e suite strumentali. Una formula che nasce con “The Piper At The Gates Of Dawn” in cui Barrett si immerge in un formidabile viaggio nella mente tra droghe e allucinazioni, e che si attenuerà nel tempo, a partire dal suo allontanamento dalla band, nel 1968.
I reduci, capeggiati da Roger Waters prima e David Gilmour poi, continueranno a destreggiarsi tra veri capolavori di rock maturo e opere più manieristiche, al limite del commerciale. Barrett, invece, si sobbarcherà il peso di una progressiva emarginazione da quell’universo musicale che aveva attraversato sempre in modo eccentrico e sghembo.Nei suoi due progetti solisti, a cui parteciparono in veste di produttori gli stessi Waters e Gilmour (forse con più di un senso di colpa), la “testamatta” di Cambridge dà un saggio della sua immensa capacità creativa, del suo fervore allucinato in grado di partorire mostri e visioni, favole e incubi, col tratto delicato di una strumentazione sempre sobria e sottile, di arrangiamenti onirici e fiabeschi. Quelle evocate da Barrett sono figure in controluce, ma che sanno però aprire squarci di desolazione esistenziale. Sono visioni confuse e fragili, che riescono però a delineare uno scenario di nevrosi collettiva di assoluta modernità.
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