Napolitano e Pd alzano le barricate in difesa di Letta

Doppia offensiva a tutela dell’esecutivo

Si alzano le barricate a difesa del governo. È un’azione coordinata, neanche fosse una strategia studiata a tavolino. Succede tutto nel giro di poche ore. Prima il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si schiera convinto al fianco del premier Letta. Poco dopo è il Partito democratico a confermare a larga maggioranza la fiducia all’esecutivo. La riunione dei senatori dem ottiene tre risultati tutt’altro che irrilevanti: domani la mozione di sfiducia al ministro Angelino Alfano sarà respinta, il partito si ricompatta attorno alla linea del segretario, il fronte dei renziani finisce per dividersi. Come se non bastasse, in mattinata è lo stesso governo a congelare le polemiche sulle riforme fiscali. Durante l’attesa cabina di regia tra i rappresentanti della maggioranza e i ministri interessati, l’esecutivo conferma l’impegno a cancellare l’Imu sulla prima casa e a scongiurare l’aumento dell’Iva. Mettendo al riparo le larghe intese da ulteriori scossoni.

Dal punto di vista di Enrico Letta – e forse ancora di più del presidente Giorgio Napolitano – meglio di così non poteva andare. Si stringe la rete di sicurezza attorno al governo. Certo, il protagonista della giornata resta il capo dello Stato. È dal Quirinale che si alza il muro più alto in difesa dell’esecutivo. Nella tradizionale cerimonia del Ventaglio, Giorgio Napolitano blinda l’esecutivo delle larghe intese, ammonendo severamente i partiti. Mettendo «a repentaglio la continuità di questo governo i contraccolpi a nostro danno, nelle relazioni internazionali e nei mercati finanziari, si vedrebbero subito e potrebbero risultare irrecuperabili», spiega. Pochi giri di parole. Nonostante le fibrillazioni di una fase difficile, il governo resta al suo posto. «Nell’interesse generale – continua il presidente – è indispensabile proseguire nella realizzazione degli impegni del governo». Insomma, il programma presentato da Letta dovrà essere portato a compimento. E nessuno si metta in testa di poter archiviare questa esperienza. «Non ci si avventuri a creare vuoti, a staccare spine, per il rifiuto di prendere atto di ciò che la realtà politica ha reso obbligato». Il Colle in ogni caso non offrirà alcuna sponda a chi immagina alternative all’attuale esecutivo. Ecco perché Napolitano invita «coloro che lavorano su ipotesi fumose e arbitrarie a non contare su decisioni che spetterebbero al presidente della Repubblica».

Ce n’è per Matteo Renzi, forse. Per chi nel Pd sperava di cambiare in corsa la maggioranza parlamentare (magari ricorrendo all’aiuto di qualche esponente a cinque stelle). Ma anche per gli esponenti più inquieti del Popolo della libertà. Il 30 luglio è attesa la sentenza della Cassazione sulla vicenda Mediaset. Napolitano si porta avanti con il lavoro: «Si sgombri il terreno da sovrapposizioni improprie, come quella tra le vicende giudiziarie di Silvio Berlusconi e le prospettive dell’attuale governo».

Ma a tutela dell’esecutivo si schiera anche il Partito democratico. Dopo pranzo va in scena nella sala Koch di Palazzo Madama la riunione dei senatori democrat. Domani l’Aula voterà la mozione di sfiducia al ministro dell’Interno Alfano, travolto dall’imbarazzante caso Shalabayeva. Il partito, ieri spaccato sulla linea da seguire, ritrova la compattezza. Prima l’intervento del segretario Guglielmo Epifani, poi quello del ministro per i Rapporti con il Parlamento Dario Franceschini («al governo si sta in squadra. La faccia ce la dobbiamo mettere tutti o nessuno»), riescono a congelare le polemiche. La proposta dei senatori vicini al sindaco di Firenze di sfiduciare l’esponente del governo viene bocciata. Al momento della conta, ottanta parlamentari si schierano con l’esecutivo, solo in sette preferiscono astenersi.

Restano tutti i dubbi sulla condotta di Alfano nella discussa vicenda kazaka. Anzi, sarà lo stesso capogruppo Luigi Zanda, intervenendo domani in Aula, a sottolineare la necessità di ulteriori approfondimenti. Ma l’esistenza del governo non può essere messa a rischio. Ecco il senso del voto di domani: il Pd confermerà la fiducia all’esecutivo, più che al titolare del Viminale. E intanto Enrico Letta incassa un altro successo. Questo sì, inaspettato. Il fronte dei renziani si divide. Quella che per molti è la più fastidiosa spina nel fianco del governo si spunta. Che fine hanno fatto i tredici senatori che ieri avevano chiesto al Pd di presentare una propria mozione di sfiducia al titolare del Viminale?

In attesa dei prossimi marosi – a partire dalla sentenza della Cassazione sul caso Mediaset – il governo riesce a mettersi al riparo anche dalle polemiche sulle riforme fiscali. In mattinata i ministri interessati hanno incontrato i rappresentanti dei partiti di maggioranza a Palazzo Chigi. L’esecutivo si è impegnato a risolvere le questioni sul tavolo entro il 31 agosto. Per quella data saranno pagati i debiti della Pubblica amministrazione, ma saranno anche fornite le soluzioni per cancellare l’Imu sulla prima casa e presentate le coperture per scongiurare l’aumento dell’Iva. La strada delle riforme resta ancora lunga e difficile. Ma da oggi chi scommette sul governo di larghe intese può sentirsi un po’ più tranquillo.

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