Montecitorio come il Grand Hotel. Il Movimento 5 Stelle prende in mano il tema dei costi della politica e sforna un dossier con cifre e proposte relativi alle spese della Camera, «una scatola vuota di contenuti ma piena di privilegi» secondo la definizione del capogruppo Riccardo Nuti. La parola d’ordine è aggredire i diritti acquisiti, andando ad abbattere i costi dei dipendenti e il complesso delle spese facenti capo ai parlamentari.
Sul primo fronte il referente è Riccardo Fraccaro, deputato trentino e membro del Comitato degli Affari del Personale, che denuncia: «Ho chiesto di accedere ai curricula dei dipendenti e ho trovato un muro di gomma, mi è stato detto che non avevo un interesse giuridicamente rilevante alla conoscenza di quei dati». Stando alla calcolatrice dei Cinque Stelle i costi del personale della Camera ammontano a 280 milioni di euro annui, cui vanno aggiunti 220 milioni per il personale in quiescenza.
I dipendenti in servizio sono 1521, divisi in cinque livelli. Al quinto svettano 183 “consiglieri” che arrivano a guadagnare 400.000 euro lordi a fine carriera. Di questi, 170 incassano anche l’indennità di funzione, dai 600 ai 3900 euro lordi mensili in base alle qualifiche ricoperte. Spiega Fraccaro: «L’indennità di funzione è corrisposta a chi svolge un ruolo di responsabilità, ma nel caso della Camera si fa all’italiana, tutti colonnelli e nessun soldato, con una responsabilità diffusa che equivale a nessun responsabile». Scendendo al quarto livello sono inquadrati documentaristi, tecnici e ragionieri: vengono assunti con un stipendio di 1.876,57 netti mensili, ma dopo 25 anni la busta paga sale a 227.786 lordi annui. Al terzo livello stazionano 777 persone tra segretari, assistenti, infermieri e coordinatori: partono con una retribuzione di 40.968 lordi annui che a fine carriera diventano 167.400.
«Dopo 25 anni di servizio un barista o un commesso di Montecitorio arriva a guadagnare 110.000 euro lordi annui», sottolinea Fraccaro: «Nella scorsa legislatura la Camera ha approvato ridimensionamenti dello stipendio al personale del 20%, ma le nuove curve retributive si applicheranno solo ai futuri assunti e solo se approvate dal Senato». La proposta dei Cinque Stelle di pubblicare curricula e retribuzioni dei dipendenti, rincara la dose Fraccaro, ha trovato l’opposizione di Pd e Sel, mentre Pdl e Scelta Civica hanno votato coi grillini.
Nel frattempo la presidente Boldrini si è mossa in tal senso disponendo la pubblicazione delle curve retributive dei dipendenti fino al quarantunesimo anno di carriera, oltre ad altre misure in chiave trasparenza. Alla Presidenza della Camera è stata inviata una lettera con le richieste dei grillini che vorrebbero pure stabilire un tetto massimo per le retribuzioni, come avviene nelle P.a. dove la soglia è commisurata al compenso del primo presidente della Corte di Cassazione (320.000 euro lordi annui). Da ultimo, introdurre il criterio del merito per gli scatti nella retribuzione, perché «qui dentro gli stipendi crescono fino alla pensione con aumenti biennali automatici del 2,5% senza che sia necessario il merito».
La musica non cambia se si spulciano le spese che fanno capo ai parlamentari. Sul punto insiste Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera. «L’ufficio di presidenza aveva cominciato bene eliminando gli appartamenti per i questori e le spese di rappresentanza per i vicepresidenti (circa 13.000 euro annui), poi ha rimandato le altre decisioni e ora le nostre proposte scompaiono nel triangolo delle Bermuda dei questori». In ballo resta la questione del trattamento economico dei deputati, oggetto di una proposta targata M5s che taglierebbe 42 milioni di euro annui al conto di Montecitorio.
Pesano pure i vitalizi, una cambiale da 110 milioni di euro che Di Maio chiede di abolire: «L’Avvocatura della Camera potrebbe sopportare eventuali ricorsi per la loro soppressione». Poi l’attacco: «L’ufficio di Presidenza non ha fatto che approvare privilegi», tra cui i Cinque Stelle annoverano l’assicurazione sulla vita e la polizza sanitaria. Quest’ultima è stata recentemente estesa al convivente dello stesso sesso, gesto che a molti è parso un antipasto in tema di diritti civili, mentre per Di Maio «vanno abolite entrambe le assicurazioni, poi ognuno potrà stipularne singolarmente».
Sotto la lente d’ingrandimento ci sono anche i fondi erogati alle delegazioni interparlamentari, le donazioni agli Enti (su tutti i 100.000 euro al Circolo di Montecitorio) e i contratti d’affitto degli immobili della Camera, «molti dei quali non prevedono diritto di recesso». Mentre si chiede di dismettere gli uffici degli ex presidenti Fini e Bertinotti: «Non si capisce perché sono ancora qui». Infine il capitolo tecnologia, da sempre caro ai grillini. «Ogni anno la Camera spende 4,5 milioni di euro per l’acquisto di software, la nostra proposta è quella di sostituire gradualmente tutti i software a pagamento con quelli open source». Altri 9 milioni di euro volano via per la stampa degli atti parlamentari, ragion per cui «è giunto il momento di informatizzare il tutto».
Le proposte dei Cinque Stelle saranno raccolte in un pacchetto di misure che verranno nuovamente portate all’attenzione dell’ufficio di Presidenza. Oggi, dopo la rinuncia ai rimborsi elettorali e la travagliata restituzione degli stipendi, il Movimento prova a giocare da apripista sui costi del Palazzo, cavallo di battaglia elettorale cavalcato a più riprese dallo stesso Grillo. «Questo Parlamento vuole essere meno trasparente di quanto chiede alle altre amministrazioni», ripetono in coro i deputati in conferenza stampa, che adesso sperano nell’effetto mediatico: «Di solito il coinvolgimento dell’opinione pubblica provoca un’accelerazione dei processi». Sarà la volta buona?
Twitter: @MarcoFattorini